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Colon retto, la biopsia liquida trova i biomarcatori tumorali

Può fornire indicazioni sulle caratteristiche del carcinoma complementari a quelle rilevate dall’analisi dei tessuti

19/03/2023 - di Olga Mugnaini

Il futuro della diagnosi e cura dei tumori sarà solo genetica. Oggi la ricerca dei biomarcatori viene effettuata principalmente attraverso l’analisi genetica del tessuto tumorale, ma recentemente, grazie al lavoro del dipartimento di oncologia di precisione dell’Università Vanvitelli e della Fondazione Pascale di Napoli – è stato dimostrato l’importanza della cosiddetta biopsia liquida, ovvero dell’analisi di biomarcatori che possono essere individuati nel sangue dei pazienti oncologici.

 

Ciò ha dimostrato che la biopsia liquida può fornire informazioni sulle caratteristiche del tumore complementari alla biopsia tessutale. Nuovi studi clinici sono in corso per sviluppare algoritmi diagnostici basati sull’integrazione delle informazioni di queste distinte analisi per garantire una sempre maggiore personalizzazione delle terapie.

 

Inoltre la moltitudine di informazioni di analisi complesse richiede l’impiego di tecnologie sempre più sofisticate per la loro elaborazione. Per questo è stato avviato un programma di ricerca di avanguardia, basato sull’impiego di tecniche di intelligenza artificiale per interpretare i dati genomici e supportare le decisioni cliniche.

 

Questi studi sono stati presentati al convegno The Naples Conference on colorectal cancer, a Napoli, durante il quale è stato fatto il punto sulle più recenti innovazioni terapeutiche e sulle speranze per il futuro ‘genetico’ della cura di questo carcinoma. Non solo.

 

Sempre da Napoli arrivano anche due studi per due anticorpi monoclonali specifici e mirati contro bersagli importanti per la crescita tumorale, che possono ‘dare la spinta’ giusta alla terapia standard contro il tumore al colon-retto metastatico refrattario, raddoppiando la sopravvivenza libera da progressione della malattia: sono il bevacizumab e panitimumab.

 

Entrambi gli anticorpi monoclonali hanno dimostrato in due diverse sperimentazioni (Sunlight di fase III e Velo di fase II), di allungare in maniera significativa la sopravvivenza dei pazienti più complessi, o già curati con più linee di terapia e/o ‘resistenti’ alla chemioterapia.

 

Un dato significativo considerando che solo in Italia i nuovi casi di pazienti con questo tumore sono stati stimati nel 2022 in oltre 48 mila, in crescita costante, di cui 18 mila con la forma metastatica. Ancora troppi considerando che quello del colon retto è un tumore facilmente prevenibile, grazie allo screening.

 

Effettuato nella popolazione generale a partire dai 50 anni con la semplice ricerca di tracce di sangue nelle feci (e se, necessario, con la colonscopia), permette la guarigione perché individua la malattia in fase iniziale nel 90% dei casi. I due lavori, a cui ha partecipato l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, rappresentano speranze per il futuro ‘genetico’ della cura di questo carcinoma.

 

«I pazienti, circa 500, erano casi complessi, già trattati con una o due linee di terapia – spiega Fortunato Ciardiello, ordinario dell’Università della Campania Vanvitelli, coordinatore scientifico del convegno e coautore dello studio Sunlight –. Con la terapia combinata la sopravvivenza mediana è salita a 10,8 mesi rispetto ai 7,5 del trattamento standard.

 

Il beneficio clinico è emerso in tutti i sottogruppi di pazienti indipendentemente dall’età, il sesso, la localizzazione del tumore primario, il numero di metastasi o la presenza o assenza di mutazioni su Ras, che possono influenzare la terapia; il trattamento combinato inoltre ha raddoppiato la sopravvivenza libera da progressione di malattia».