Pipì a letto in età scolare, l’enuresi spiegata dai pediatri: 7 falsi miti da sfatare e 6 consigli per risolvere il problema
Un bambino su 10 continua a bagnare il materasso durante la notte anche quando è già alle elementari. Nel 65% dei casi i genitori attendono che il problema si risolva da solo, invece va subito affrontato e risolto per evitare che si trasformi in un disturbo cronico

Un bambino su 10 in età scolare fa ancora la pipì a letto
Fare la pipì a letto da bambini è un'abitudine che a volte si protrae un po’ troppo in là, arrivando addirittura a interessare un bambino su 10 tra quelli che già vanno a scuola. E nel caso diventa un disturbo che va affrontato e risolto per evitare che possa non solo disturbare la qualità del sonno, ma anche complicare la vita sociale, mettendo psicologicamente in difficoltà i piccoli.
Secondo la Società italiana di pediatria (Sip), che ha affrontato il tema nel suo recente 80° Congresso nazionale, oltre il 65% dei bambini che soffrono di enuresi in età scolare non ricevono però né una diagnosi né quindi un trattamento adeguato, perché mamma e papà tendono a sottovalutare il problema. Per sensibilizzare i genitori, i pediatri italiani hanno allora stilato una lista di 7 falsi miti da sfatare e di 6 consigli pratici per arrestare una volta per tutte i flussi notturni, con la raccomandazione di parlarne anche con il proprio medico di fiducia.
I 7 falsi miti da sfatare sull’enuresi
1. “Passerà da sola, basta aspettare”. Le evidenze scientifiche dimostrano che questa aspettativa è spesso infondata. I bambini che bagnano il letto frequentemente (più di cinque notti a settimana) hanno solo il 50% di probabilità di acquisire la continenza notturna prima dell’età adulta. Rinviare la diagnosi e il trattamento, quindi, significa rischiare di cronicizzare il disturbo, facendolo diventare ancora più pesante sul piano emotivo e relazionale.
2. “È solo un problema psicologico”. L’enuresi può essere la causa di un disagio psicologico, non l’effetto. Fare la pipì a letto ha principalmente origini fisiologiche: una produzione inadeguata di ormone antidiuretico (vasopressina), un ritardo nella maturazione dei circuiti cerebrali che regolano il risveglio, o ancora una vescica iperattiva o non sufficientemente allenata.
3. “Dorme troppo profondamente, non sente lo stimolo”. Non è vero che i bambini con enuresi hanno un sonno più profondo del normale. Gli studi dimostrano che il problema è una ridotta capacità di risveglio in risposta al segnale della vescica piena, spesso per un’anomalia dell’attività del locus coeruleus, un’area del cervello che regola la risposta agli stimoli interni ed esterni. Di fatto, il sonno è più frammentato e meno riposante, con possibili effetti negativi anche sulla concentrazione diurna e sul rendimento scolastico.
4. “Svegliarlo di notte per farlo urinare lo aiuta a guarire”. Accompagnare il bambino in bagno durante il sonno, magari svegliandolo a orari fissi, non favorisce l’apprendimento del controllo vescicale. Anzi, risulta controproducente perché il bambino urina meccanicamente, senza associare l’azione allo stimolo fisiologico: il cervello ha bisogno di imparare a rispondere allo stimolo della vescica da solo. Inoltre, il sonno disturbato compromette la qualità del riposo e può peggiorare la situazione.
5. “Se non ne parla, vuol dire che non gli pesa”. Molti bambini non esprimono apertamente il disagio, ma lo vivono intensamente. Possono provare vergogna, sentirsi diversi dai coetanei, evitare di dormire fuori casa o partecipare a gite scolastiche. Alcuni si colpevolizzano, altri si chiudono in sé stessi. È fondamentale che gli adulti siano in grado di cogliere questi segnali silenziosi e offrano sostegno senza giudizio.
6. “Il bambino ha la vescica troppo piccola, non c’è nulla da fare”. Spesso la vescica è perfettamente normale dal punto di vista anatomico, ma “piccola” dal punto di vista funzionale. In molti casi, basta un corretto schema di idratazione (più liquidi al mattino e meno la sera) e una regolarità nell’urinare per allenarla a contenere di più.
7. “Se il bambino non è motivato, la terapia è inutile”. Molti bambini appaiono disinteressati solo perché si sentono inadeguati o colpevolizzati. Il sostegno empatico della famiglia e del pediatra, valutando anche la possibilità di una terapia farmacologica, è essenziale per costruire un percorso efficace.
6 consigli pratici per fermare la pipì a letto
1. Incentivare un’idratazione regolare durante il giorno. Il bambino va incoraggiato a bere almeno un litro e mezzo d’acqua tra le 8 e le 18, distribuendo i liquidi in modo equilibrato. Questo riduce la sete serale e aiuta la vescica ad allenarsi con minzioni frequenti.
2. Promuovere l’abitudine a urinare regolarmente. Una vescica ben allenata aumenta la propria capacità e favorisce il controllo notturno: per questo durante la giornata il piccolo va invitato ogni 2,5-3 ore ad andare in bagno per fare pipì.
3. Prestare attenzione all’alimentazione serale. A cena meglio non fare mangiare al bambino cibi molto liquidi (come minestre o brodi) o ricchi di calcio e sodio (come latte, formaggi stagionati, salumi e alimenti conservati). Questi elementi aumentano infatti la produzione di urina nelle ore notturne e possono quindi interferire con la capacità della vescica di trattenere i liquidi durante il sonno.
4. Curare eventuali episodi di stitichezza. Un intestino non svuotato correttamente può comprimere la vescica e stimolare l’iperattività vescicale. Affrontare la stipsi è allora un passo fondamentale anche nella gestione dell’enuresi.
5. Rispettare i tempi del bambino e favorire la fiducia. È importante parlare apertamente del problema, senza colpevolizzare il piccolo e valorizzandone i progressi.
6. Affidarsi al pediatra per una guida personalizzata. Il pediatra è il primo riferimento per valutare la situazione, distinguere le diverse forme di enuresi e impostare (se necessario) un trattamento farmacologico adeguato oppure suggerire altri controlli specialistici.