’Pause attive’ per battere la sedentarietà

Progetto di ricerca dell’Università di Bologna con le aziende del territorio, per migliorare la qualità di vita in ufficio e non solo

di FRANCA FERRI
18 maggio 2025
Progetto di ricerca dell’Università di Bologna con le aziende del territorio, per migliorare la qualità di vita in ufficio e non solo

Progetto di ricerca dell’Università di Bologna con le aziende del territorio, per migliorare la qualità di vita in ufficio e non solo

Andate in palestra due o tre volte a settimana, oppure a correre al parco, o a nuotare in piscina? Benissimo, ma se poi tra ufficio, auto e divano, state seduti più di 10 ore al giorno, ricadete comunque nella categoria ’sedentari’, almeno secondo le linee guida dell’OMS. Sedentari non vuol dire ’inattivi’ (che è peggio: significa fare poca o nulla attività fisica) ma contribuisce ad abbassare i benefici per il corpo e per la mente degli sforzi fatti in palestra o piscina. Bisogna chiarire subito che per attività fisica si intende ’qualsiasi movimento corporeo prodotto dai muscoli scheletrici che richiede dispendio di energia’: lo sport è solo uno dei possibili tipi di attività fisica.

E troppo spesso abbiamo una percezione sbagliata di quanta attività fisica facciamo: una persona su tre, tra quelle parziamente attive crede di fare abbastanza movimento, mentre uno su quattro delle persone sedentarie percepisce la propria attività fisica come sufficiente. Invece, i dati ci dicono che negli ultimi anni la sedentarietà è in aumento: il 28% degli adulti risulta sedentario. E il trend è negativo in ogni fascia d’età lavorativa: tra i 18 e i 34 anni, uno su quattro risulta sedentario, percentuale che sale a uno su tre tra i 50 e i 69 anni. Le conseguenze? La sedentarietà fa crescere i rischi di problemi muscoloscheltrici (collo, spalle, schiena, ecc), cardiovascolari, di problemi metabolici (diabete e sovrappeso), di depressione e ansia. Insomma, peggiora davvero la qualità di vita.

Stabilire dove anche i più attivi diventano sedentari è semplice: in ufficio, dove si passa fino ll’82% del tempo seduti. Eh no, alzarsi per andare alla macchinetta del caffè o in un altro ufficio non basta. Per questo, un gruppo di ricercatori dell’Università di Bologna sta promuovendo il progetto di ricerca ’Pause attive’ coinvolgendo le aziende del territorio; al progetto aderisce anche Editoriale Nazionale, società editrice dei nostri quotidiani QN - il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno. L’iniziativa mira a promuovere uno stile di vita più attivo introducendo in ufficio interventi basati sulla strategia delle Pause Attive (Physical Active Breaks).

Di cosa si tratta? Di un progetto che si sviluppa per quattro mesi: dopo una valutazione personalizzata delle abitudini e dello stile di vita, i volontari riceveranno ogni giorno, dal lunedì al venerdì tre ’videopillole’ con proposte di pause attive sulla base dei bisogni espressi nella fase precedente. Saranno dotati anche di un diario personale e di un rilevatore di attività (da portare al polso o in cintura, per monotrare scientificamente i dati raccolti. Le pause sono di tre tipi diversi, tarate anche sull’orario in cui vengono proposte: più energizzanti al mattino, per combattere la sonnolenza post prandiale, o più di stretching verso sera. Pochi semplici esercizi per attivare diverse parti del corpo, da fare da soli o in gruppo, anche aiutandosi con la sedia o il tavolo da ufficio. I possibili benefici delle ’Pause Attive’, oltre a quelli fisici, sono anche psicologici, a partire dall’aumento dell’energia dovuta anche al piccolo’stacco mentale’ di questi pochi minuti.