Autismo e masking: quel malessere psicologico che nessuno vede. Perché è così diffuso negli adulti (senza diagnosi)

Troppe persone (soprattutto donne) si sono abituate a ‘camuffare’ i sintomi dello spettro autistico. Non lo sanno e vivono un disagio continuo. Lo spiega uno studio e lo racconta la scrittrice Susanna Tamaro, affetta da Sindrome di Asperger: le sue parole

di VALERIA PANZERI
2 aprile 2025
Giornata mondiale della consapevolezza dell'autismo

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Negli ultimi anni, si è assistito ad un crescente numero di diagnosi di autismo. La ragione principale risiede nel fatto che gli strumenti diagnostici si sono affinati: sotto l'ombrello dello spettro autistico finiscono ora anche persone con sintomi lievi e moderati, i cui indicatori venivano precedentemente sottostimati, ignorati, non colti o derubricati a generici "disturbi mentali" o "ritardi".

Nell'attuale metodo vengono identificati tre livelli di autismo. Soprattutto coloro che rientrano nella prima fascia, cosiddetta lieve, potrebbero non aver mai ricevuto diagnosi, anche in virtù della mancanza di approcci clinici adeguati durante la loro infanzia.

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Autismo ed effetto ‘masking’

Ci riferiamo a persone con comportamenti, apparentemente e superficialmente, adiacenti al sentire comune. Quasi sempre inscritte in contesti sociali e professionali, individui magari sposati, con figli. Parliamo di adulti, che non hanno beneficiato dell'attuale appropriatezza clinica, che sono ritrovati a compensare il proprio funzionamento con meccanismi autonomi, spesso logoranti.

Persone che, statistica alla mano, rientrano quasi certamente nella nostra cerchia di amici, conoscenti e colleghi. Uomini e donne che hanno dovuto, in qualche modo, adattare le proprie difficoltà nella comunicazione sociale, o di interpretazione dei segnali sociali, forzando la propria natura. Fingendo. Mascherandosi. Per celare quelli che, soprattutto nei decenni passati, rischiavano di essere interpretati come atteggiamenti "strani" o "bizzarri". Oltre, quindi, alle difficoltà ad allinearsi a codici di difficile comprensione, se neurodivergenti, c'era anche il timore di venire percepiti come "sbagliati". È da queste condizioni di partenza che nasce il fenomeno del camuffamento, o masking, tipico del disturbo dello spettro autistico. In termini scientifici, si riferisce a comportamenti e strategie che mascherano la presentazione delle caratteristiche del disturbo dello spettro autistico nei contesti sociali per apparire "non autistici".

Gli esperti: “Le donne si camuffano di più”

Come ben spiegato ed indagato nel lavoro scientifico ‘Mimetizzazione nel disturbo dello spettro autistico: esame dei ruoli del sesso, dell'identità di genere e del tempismo diagnostico’, del 2022 - a cura di Goldie A McQuaid, Nancy Raitano Lee e Gregory L Wallace - il camuffamento modifica la presentazione comportamentale delle caratteristiche principali del disturbo dello spettro autistico (ad esempio, differenze sociali e comunicative), ma il profilo autistico sottostante non è influenzato, producendo una discrepanza tra caratteristiche osservabili esterne ed esperienza vissuta internamente dell'autismo. "Il camuffamento potrebbe essere un fattore importante nella diagnosi successiva di individui senza disabilità intellettiva concomitante, specialmente tra quelli designati come sesso femminile alla nascita. Inoltre, nessuno studio ha confrontato gruppi che differiscono nella tempistica diagnostica per indagare direttamente se gli individui diagnosticati in seguito mostrano un camuffamento elevato rispetto a quelli che hanno ricevuto una diagnosi precoce", spiegano gli autori. Le ricerche scientifiche sul masking, sembrano inoltre confermare che, nel corso della vita, le donne e ragazze autistiche tendono a mostrare maggiore impegno nei tentativi di mascheramento dei sintomi, rispetto alla controparte maschile; ciò potrebbe in parte spiegare la maggiore probabilità di diagnosticare più tardi o in modo errato la popolazione autistica femminile.

La ‘maschera’ di Susanna Tamaro: il racconto

Fra le più grandi scrittrici italiane, a "gettare la maschera" è stata Susanna Tamaro nel suo libro: "Il tuo sguardo illumina il mondo". L'autrice confida della "pazzia intravista già all’asilo" e del modo in cui sono costrette a vivere tutte le persone che soffrono della Sindrome di Asperger, ma soprattutto degli sforzi, estenuanti, per adeguarsi a ritmi e modus vivendi che non gli appartengono: "Vivevo, e continuo a vivere, in un mondo che è solo mio. E questo mondo ha leggi che nessun altro è in grado di capire. All’epoca della mia infanzia simili disturbi non si conoscevano. Nel migliore dei casi venivo considerata una bambina strana, prigioniera di una timidezza patologica”, spiega l'autrice. 

"Non dormivo, non parlavo – continua la scrittrice – non guardavo mai negli occhi. Tutta la vita ho lottato contro la complessità dei miei disturbi, contro gli enormi ostacoli che disseminavano, e continuano a disseminare, nei miei giorni. Per decenni mi sono colpevolizzata per non riuscire a essere come gli altri, per non essere in grado di affrontare cose che le altre persone consideravano normali", racconta Tamaro. Infine un'amara riflessione su quanto pesi quella maschera: "Provo una stanchezza quasi mortale. Sessant’anni di finzione senza essere un attore. I gesti normali delle persone, quelli che vengono compiuti quasi inconsapevolmente, per me sono dei piccoli Everest quotidiani".

Le conseguenze: quel malessere psicologico 

Le conseguenze in termini di affaticamento a causa del camuffamento, negli adulti con autismo, sono associati a sintomi più severi di malessere psicologico. Mantenere costantemente un’immagine conforme agli standard neurotipici richiede uno sforzo mentale ed emotivo significativo, portando a un esaurimento.

Mascherare continuamente i propri comportamenti può portare a una sensazione di disconnessione da sé stessi, con un forte impatto sulla propria autostima. A fronte di ciò è evidente quanto preziosa risulti una diagnosi tempestiva, che possa fornire strumenti ma anche un senso di legittimazione all'individuo, senza condannarlo a rappresentarsi (e forzarsi) in una vita che non gli appartiene.