’Adolescence’, le differenze tra narrazione e vita reale

Penna * Mi viene chiesto in questi giorni di pronunciarmi sulla serie ’Adolescence’. Iniziamo dal dire che ’Adolescence’ non è una...

di ALBERTO
20 aprile 2025
Penna * Mi viene chiesto in questi giorni di pronunciarmi sulla serie ’Adolescence’. Iniziamo dal dire che ’Adolescence’ non è una...

Penna * Mi viene chiesto in questi giorni di pronunciarmi sulla serie ’Adolescence’. Iniziamo dal dire che ’Adolescence’ non è una...

Penna *

Mi viene chiesto in questi giorni di pronunciarmi sulla serie ’Adolescence’.

Iniziamo dal dire che ’Adolescence’ non è una serie sull’adolescenza. Si tratta di una situazione limite, non generalizzabile: non riguarda la maggioranza dei giovani e delle loro famiglie, e nemmeno la media. È una serie su un adolescente particolare, che compie un gesto estremo.

Tra l’altro le intenzioni degli autori erano quelle di guardare negli occhi la rabbia maschile. Ci sono riusciti? Penso di sì, ma non si vede molto in questi occhi, o almeno non si offre un’ipotesi plausibile. Non è evidente il legame tra la rabbia e la sofferenza sottostante, a parte qualche spunto del quarto episodio, nei dialoghi finali dei suoi genitori. Solo alla fine il padre si chiede insieme alla madre se abbiano fatto troppo poco, se non siano stati disattenti. E si intravede un barlume di riparazione, quando Jamie chiama il padre per dirgli di avere deciso di dichiararsi colpevole.

La divisione dei quattro episodi non segue le logiche della vita normale, si tratta di puntate che trattano gli eventi in modo staccato tra loro: 1) l’arresto, 2) la scuola, 3) il colloquio con la psicologa (qualche mese dopo l’arresto) e 4) la famiglia un anno e mezzo dopo l’omicidio. Scelta ovviamente artistica, ma ci induce a pensare in modo molto solitario, non relazionale. Ci pare plausibile sapere come stanno i genitori ad oltre un anno dall’evento? A me no. Se fosse così perché i suoi genitori si fanno quelle domande solo in quel momento, allora il problema sono davvero loro due.

La tecnica usata per girarlo, in cui la telecamera non stacca mai e non ci sono tagli e cambi di scena, rende ansiogeno l’effetto, e l’azione serrata. Noi quindi viviamo un dramma fuori dal comune, indotti a credere che potrebbe succedere a chiunque, creando allarme non giustificato dai numeri, almeno in Italia.

Visto che da qualche anno i social inducono nei giovani maggiori problemi di ansia, piuttosto che di violenza.

Quindi non sono del parere di eleggere questa serie come utile a capire il disagio degli adolescenti.

Si tratta di una nicchia infinitesima. Sarebbe come a dire che per capire il disagio degli adulti usiamo gli omicidi: una bella serie di adulti normali che compiono omicidi efferati.

Il disagio di quali adulti rappresenteremmo?

Meno che mai userei questa serie da proiettare nelle scuole.

Dovremmo essere molto critici verso un modo drammatico di rappresentare la realtà.

Ci facciamo caso che le notizie estreme vengono amplificate, mentre quelle medie e ordinarie no?

La vita delle persone però è quella che non fa rumore, né cronaca. E per fortuna. La vita reale è altrove, e mi chiedo come mai non facciano scalpore, in senso positivo altri tipi di film.

* psicologo

e psicoterapeuta

di coppia e familiare