Stefano Cucchi, l'ultimo addio della sorella Ilaria: "Ora posso lasciarti andare"

Ilaria Cucchi ha scelto la data simbolica di Pasqua e una foto in cui pianta dei fiori per l'ultimo saluto al fratello Stefano. "12 anni e sei mesi, è arrivato il momento di dirti addio"

Ilaria Cucchi, la foto dell'ultimo post di Facebook

Ilaria Cucchi, la foto dell'ultimo post di Facebook

Roma, 17 aprile 2022 – Sono passati “12 anni e sei mesi: è arrivato il momento di dirti addio”. È stata una Pasqua di vera resurrezione quella trascorsa dalla famiglia di Stefano Cucchi, il geometra morto in carcere nel 2009 per le torture subite dai militari che lo hanno arrestato. Dopo la condanna in via definitiva dei carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, che dovranno scontare 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale, e quella degli otto militari dell’Arma per depistaggio delle indagini, oggi Ilaria Cucchi ha scritto un saluto di commiato al fratello, con il cuore risollevato dopo tanto dolore.

Ilaria Cucchi, la foto dell'ultimo post di Facebook
Ilaria Cucchi, la foto dell'ultimo post di Facebook

Oggi la sorella Ilaria ha deciso di dirgli addio. E ha scelto una data simbolica per “dire addio” a Stefano, il giorno di Pasqua, e anche una foto eloquente, ovvero lei intenta a piantare dei fiori. “È arrivato il momento di dirti addio. E qui e così sognavo di farlo. Ora posso lasciarti andare. Ti voglio bene fratello mio. Te ne vorrò per sempre”. Così in un post su Facebook, Ilaria Cucchi riferendosi alla vicenda del fratello Stefano, morto il 22 ottobre del 2009 nel reparto protetto dell'ospedale Sandro Pertini di Roma mentre era sottoposto alla custodia cautelare.

Il post arriva dopo la sentenza di primo grado dell'ultimo dei tanti processi sulla tragica morte del giovane: la condanna di otto carabinieri per i depistaggi messi in atto dopo il decesso con una pena di cinque anni al generale Alessandro Casarsa, all'epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, e di un anno e 3 mesi al colonnello Lorenzo Sabatino, ex numero uno del comando provinciale di Messina. Due pezzi grossi dell’Arma condannati alla sbarra, una svolta storica a cui nessuno pensava si potesse mai arrivare.