Rastrellamento ghetto ebraico a Roma, mille partirono e tornarono in 16: la storia

Il 16 ottobre 1943 un centinaio di soldati nazisti fecero irruzione al Portico d'Ottavia. Sfondarono porte e strapparono 1.259 ebrei dalle case, soprattutto donne e bambini: tutti deportati al campo di sterminio di Auschwitz

Il rastrellamento al ghetto ebraico di Roma, 16 ottobre 1943

Il rastrellamento al ghetto ebraico di Roma, 16 ottobre 1943

Roma, 16 ottobre 2022 – Rastrellamento al ghetto ebraico di Roma, “una delle pagine più brutte della nostra”. Sono passanti 79 anni da quel Sabato nero, viene ricordato, quando il 16 ottobre del 1943 le truppe tedesche fecero irruzione nelle case con una retata finita con la deportazione di 1.259 persone, tra cui quasi tutti donne e bambini. Sono passati decenni, ma quell’inferno rimane scolpito nella memoria. Mentre al Portico d'Ottavia è giornata di commemorazioni, pioggia di commenti dalle istituzioni con Giorgia Meloni e Ignazio La Russa in prima linea. Sabato nero, la tragedia di Roma:

Cosa è successo al ghetto quella notte

Era il 16 ottobre 1943, quando la Comunità ebraica di Roma si risveglio in un incubo. Alle prime ore dell’alba, erano le 5.30 del mattino quando iniziò il rastrellamento, le truppe tedesche invasero il ghetto ebraico al Portico d’Ottavia, con la collaborazione dei funzionari fascisti romani. Più di un migliaio di persone furono prelevati a forza dalle loro case, molti di loro dormivano ancora.

Quel giorno era sabato, quindi Shabat: la giornata riposo per gli ebrei. E, a maggior ragione, l’irruzione fu ancora più violenta e inaspettata. Un centinaio di soldati, sotto il comando di Herbert Kappler – un efferato militare delle SS poi condannato per crimini guerra – scesero di soppiatto dalle camionette diretti a colpo sicuro agli indirizzi forniti dai funzionari dell’Ufficio fascista Demografia e Razza.

L’ordine della Gestapo

Nove lunghissime ore di terrore, il rastrellamento iniziato all’alba finì dopo le due del pomeriggio. Sfondarono porte, strapparono donne e bambini dalle case, urlarono ordini ben precisi, scritti a macchina da scrivere e appesi ai muri del ghetto: “Pronti in 20 minuti, portate cibo per otto giorni, soldi e oggetti preziosi”. Pane e qualche cibaria sarebbero serviti per il lungo viaggio verso il campo di sterminio di Auschwitz, denaro e gioielli servivano ai nazisti per finanziare la “causa della razza ariana”.

“Portate con voi anche i malati, nel campo dove vi porteranno c’è un’infermeria”, hanno detto i soldati, consapevoli che da quale momento nessuno avrebbe più fatto ritorno. C’erano soprattutto donne e bambini tra le persone caricate a forza sulle camionette. Nelle stesse ore, altri 200 soldati tedeschi svolgono la “caccia all’ebreo” anche negli altri quartieri di Roma. Rimasero due giorni e due notti sui camion nel cortile del Collegio Militare di via della Lungara: a poca distanza dal Vaticano.

Il viaggio verso Auschwitz: lo sterminio

Partirono in tantissimi, tornarono in pochi. Dopo il rilascio di romani delle “famiglie di sangue misto”, furono 1.259 gli ebrei rastrellati e deportati, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine. C’erano perfino dei neonati. Non viaggiarono sui treni piombati, il 18 ottobre si misero in viaggio e raggiunsero Auschwitz su 18 carri bestiame. Soltanto 16 di loro sopravvissero: 15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino, morta nel 2000.