Gabriele Moroni
MOTTA VISCONTI (Milano)
L’ORRORE

. Un colpevole che potrebbe esserci a breve. Per ora è solo tanto orrore. Il corpo di Maria Cristina Omes, 38 anni, è supino sul pavimento del soggiorno della villetta a Motta Visconti, poco più di 6mila abitanti, a una trentina di chilometri da Milano e a cavallo con la provincia di Pavia. Giulia, la sua bambina di quattro anni e mezzo, è stata deposta («trasportata», diceva un inquirente) sul letto matrimoniale. Gabriele, 20 mesi, è nel lettino della sua stanzetta. Tutti e tre sono stati sgozzati. Chi li ha massacrati ha anche infierito crudelmente. Su Maria Cristina i segni di un’aggressione, come se la donna avesse lottato con il suo assassino.

ANCORA

in nottata Carlo Lissi, 31 anni, marito e padre delle tre vittime, era ascoltato da ore al comando della compagnia carabinieri di Abbiategrasso. L’uomo si era messo «volontariamente» a disposizione degli inquirenti che, mentre raccoglievano le testimonianze, lo avevano più volte richiamato in caserma. Era stato Lissi a lanciare l’allarme alle 2.10 facendo accorrere la Croce bianca di Binasco e i carabinieri di Motta, Abbiategrasso, Milano. Da Pavia il procuratore Gustavo Cioppa e il pm Giovanni Benelli.
Lissi era uscito alle 23.30 per trascorrere la serata con una decina di amici e assistere alla partita fra Italia e Inghilterra. «È sempre stato con noi — dice uno di loro —. Era tranquillissimo, ha esultato ai gol dell’Italia, non si è mai allontanato».
Per l’intera giornata sono stati ascoltati parenti (fra cui la madre di Maria Cristina Omes e quella del marito), amici, vicini. Due sopralluoghi nella casa del massacro, alle 12.30 e attorno alle 17. Indagini che «procedono a ritmo serrato», assicura il procuratore Cioppa lasciando intendere che ci sarebbe una pista concreta e anche la possiblità di un fermo. Troppi i misteri e gli interrogativi in questo giallo sanguinoso. L’arma del triplice omicidio (quasi certamente un coltello) non è venuta a galla.

NELL’ABITAZIONE



, una villetta monofamiliare color salmone al numero 20 di via Ungaretti, grande giardino, zona residenziale, non sono apparsi segni evidenti di effrazione. La cassaforte era aperta e mancava il poco denaro che vi era riposto. Un particolare che appare più un tentativo di depistaggio che l’indizio di una rapina.
Le urla sentite da alcuni vicini. Un primo grido è raccolto verso le 23. Un secondo viene sentito alle 23 da due vicini, un uomo e una donna. «Ero in giardino — racconta il primo —, a duecento metri dalla casa, quando ho sentito gridare. Era una voce femminile. Conoscevo Cristina dalla nascita, abitavo nel cortile dei suoi genitori». Ancora un urlo attorno alle 0.35-0.40, ma a provocarlo potrebbe essere stata l’esultanza per la rete segnata da Marchisio.
Cristina Omes e Carlo Lissi erano sposati da sei anni. Si erano trasferiti in via Ungaretti quando era mancato il padre di lei, Decio, titolare di un negozio di frutta in via Borgomaneri. Era stata la madre di Cristina, Giuseppina Redaelli, a cedere la villetta e a trasferirsi nell’appartamento occupato fino a quel momento dalla figlia e dal genero, in via Matteotti 35.

MARIA



Cristina era impiegata alle assicurazioni Sai in paese. Impegnata nella parrocchia, aveva cantato nel coro della chiesa e recitato nella compagnia teatrale dell’oratorio. Nel 2004 si era candidata al Comune in una lista civica di centrodestra. Fino alla nascita del secondo bambino era stata volontaria della Croce rossa. Il marito, laureato in Economia e commercio, è programmatore di software. Una coppia che viveva con discrezione. Rumors di paese sussurravano ieri di dissidi insorti negli ultimi mesi. Voci. Il 5 giugno Maria Cristina Omes aveva postato l’ultimo messaggio sulla sua pagina Facebook: «Anche se nella vita tu ci sei per tutti, non è detto che tutti siamo per te». Parole strane, indecifrabili. E anche un po’ tristi.