ROMA, 16 luglio 2013 - ESECUTIVO anomalo e sostenuto da una maggioranza insolitamente trasversale, anche il primo governo D’Alema fu messo a repentaglio da una vicenda internazionale fatta di presunti patrioti stranieri, servizi segreti e interessi nazionali. Grazie al bertinottiano Ramon Mantovani, nel novembre del 1998 il leader del Pkk curdo Abdullah Ocalan fu portato a Roma e inizialmente protetto dallo Stato italiano, ma quando la Turchia minacciò consistenti rappresaglie economiche venne prontamente spedito a Nairobi, in Kenya, dove fu catturato dai servizi segreti turchi. Ocalan, così come la kazaka Alma Shalabayeva, nei suoi 65 giorni di permanenza sul suolo italiano venne ospitato in una villetta del quartiere romano di Casalpalocco. Un’area residenziale tra l’Eur e Ostia perfetta per mimetizzarsi e infatti più volte sfruttata dal ministero dell’Interno per alloggiare in forma anonima collaboratori di giustizia e personalità rintenute degne di protezione.
Secondo il professore Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto affari internazionali e profondo conoscitore di quegli ‘arcana imperii’ che da sempre caratterizzano le zone d’ombra del potere statuale, è possibile tracciare un’analogia tra le due vicende. «Anche nel caso di Alma Shalabayeva — dice Silvestri — sembra che i servizi segreti e gli apparati italiani abbiano agito in maniera contraddittoria: è come se inizialmente qualcuno le avesse garantito la possibilità di ottenere protezione in Italia e per oscuri motivi ci abbiano poi ripensato». Quanto ai motivi, così oscuri non sembrano. Il Kazakistan produce gas, petrolio e uranio, e con scambi che sfiorano il miliardo di euro all’anno l’Italia ne rappresenta il secondo partner commerciale europeo. La parte del gigante è svolta dall’Eni. E, come spiega un ex ministro dell’Interno che chiede l’anonimato, «i nostri apparati di sicurezza sono da sempre al servizio degli interessi dell’Eni e, per quanto assurdo possa sembrare, non sempre attendono un input politico per muoversi e non sempre si muovono in maniera coordinata».
Che l’ambasciatore kazako a Roma, Adrian Yelemessov, fosse di casa al Viminale è ormai noto. «E quel suo muoversi così a proprio agio tra i funzionari del ministero dell’Interno denota una collaborazione di antica data», osserva Silvestri. Collaborazione che in passato ha contraddistinto anche il marito della Shalabayeva, Mukhtar Ablyazov, il quale, prima di diventare un suo nemico personale, nel 1998 fu nominato ministro dell’Energia, l’industria e il commercio proprio dall’autocrate kazako Nursultan Nazarbayev, che in lui vedeva il proprio ‘delfino’. «È dunque ragionevole immaginare che entrambi abbiano i propri referenti tra i ranghi della nostra intelligence», ipotizza l’ex ministro. Il quale allude anche ad una iniziale richiesta dei servizi segreti inglesi di accogliere la Shalabayeva e sua figlia.

IPOTESI in un certo senso rilanciata da Silvestri quando osserva che «in questa vicenda pare che la mano destra non sapesse cosa faceva la mano sinistra». Poi, le due mani si sono coordinate. E tra un ex garante di interessi nazionali e un garante in carica si è naturalmente scelto di tutelare il secondo. Con la stessa logica, a suo tempo Abdullah Ocalan fu trasformato da «patriota» in «terrorista» e prontamente consegnato ai propri nemici turchi, che dopo averlo condannato a morte gli commutarono la pena in ergastolo.

di Andrea Cangini