Viviana Ponchia
NOVARA
NELLA NOTTE

fra il 4 e 5 gennaio, Carolina torna a casa da una festa, apre la finestra e si getta dal terzo piano. Le sue ultime parole sono un post lanciato nella rete: «Domani devo tornare a scuola e vedere quei deficienti. Non ce la faccio». Per quel volo nel buio, per una vita interrotta a 14 anni, otto minorenni novaresi sono adesso sotto inchiesta con l’accusa di istigazione al suicidio e detenzione di materiale pedopornografico.
Dopo 5 mesi l’ipotesi della persecuzione da parte dei cyberbulli, evocata a ridosso della tragedia proprio dal popolo dei social network, rappresenta una svolta nelle indagini coordinate dal pm Valentina Sellaroli. Carolina potrebbe essere stata una vittima sull’altare di Twitter e Facebook, dove si uccide una reputazione con una parola e un’immagine di troppo.

IL POLITECNICO


di Torino ha analizzato il contenuto dell’I-phone della ragazzina. Ma la parte più delicata sarebbero due video diffusi su internet. ‘Caro’ è bella con quel corpo da gazzella magnifico sui campi da atletica, inquietante nel travestimento da adulta. ‘Caro’ forse è un po’ sbronza alla festa, circondata da un gruppo di ragazzi che le rivolgono frasi offensive. Nulla di così scabroso, racconta chi ha visto il filmato. Sufficiente però ad alimentare la maldicenza. ‘Caro’ torna a casa dal padre, e pensa che la mattina dopo dovrà tornare a scuola e sentirsi ancora addosso quegli occhi, quelle parole appiccicose. Non ce la può fare: il peso è troppo grande. Papà dorme, lei si lancia nel vuoto dal terzo piano.
Sul web si riversano commenti addolorati e duri con esplicita accusa di bullismo nei confronti di coetanei e compagni di scuola che l’avrebbero spinta a togliersi la vita. Gli amici salutano Carolina con un grande lenzuolo bianco appeso davanti a casa: «Manchi a tutti».
Il padre è un uomo distrutto. Così come la madre separata, e la sorella maggiore. «Era forte — dice una compagna di scuola — in grado di reagire con una scrollata di spalle». Uno degli ultimi messaggi su Facebook può essere letto come un proposito di riscossa. O il contrario. «Con la gente ho già avuto troppa pazienza, non voglio più perdere tempo». Sul comodino, dove si lasciano parole scritte con l’inchiostro, c’è un foglietto che la racconta per davvero: «Scusatemi se non sono forte. Mi dispiace. Tati, amiche mie, vi voglio bene. Non è colpa di papà».

CAROLINA



è stata sepolta il 9 gennaio a Oleggio. Un mese dopo gli amici l’hanno ricordata con una fiaccolata. Due avevano fatto botte: uno accusava l’altro di averla spinta ad ammazzarsi a forza di cattiverie.
«Questa notizia — ha detto ieri la mamma di Carolina, riferendosi agli otto indagati — ha riaperto una ferita mai rimarginata». La sorella affida invece a Facebook la sua rabbia: «Spero che la vostra coscienza, se ne avete una, non vi lasci in pace. Mi auguro che siate processati e giudicati colpevoli. Vedrai — scrive rivolgendosi a Carolina — che la pagheranno per il dolore e le umiliazioni che ti hanno causato».
Ieri il Movimento italiano genitori (Moige) ha presentato denuncia lla procura di Roma nei confronti di Facebook per omesso controllo e vigilanza.