JORGE Mario Bergoglio è un membro della Compagnia di Gesù, che non è propriamente un Ordine regolare bensì un sodalizio di sacerdoti secolari. Egli succede a un papa che ha rinunziato al mantenimento del ‘ministero petrino’, ed è gesuita: eppure, secondo una delle tante leggende che allignano all’ombra del trono di Pietro, i gesuiti non dovrebbero mai diventare papi. Membri di un sodalizio organizzato come un gruppo militare (una ‘Compagnia’, appunto) e nato dall’idea di un ex soldato spagnolo, Ignazio di Loyola, i gesuiti furono accettati come organizzazione legittima solo nel 1540 da papa Paolo III. Tra le loro vocazioni specifiche, quella di maggior rilievo era il voto di fedeltà assoluta al pontefice cui si doveva obbedire perinde ac cadaver, come corpi morti.
Non sappiamo ancora quando, ma presto il ‘generale’ della Compagnia di Gesù, Adolfo Nicolás, si recherà a incontrare quel suo ‘soldato’, padre Bergoglio, divenuto papa. Una fitta rete di parellelismi lega i due religiosi. Tradizionalmente, il generale dei gesuiti è detto il ‘papa nero’, data l’autorità indiscussa di cui egli gode nella Compagnia. Quando padre Adolfo incontrerà padre Jorge Mario, ormai divenuto papa Francesco, saranno due pontefici a confronto. Ma non basta ancora. Francesco sostituisce un papa dimissionario; Adolfo è nelle sue identiche condizioni, dal momento che come generale dei gesuiti succede a padre Peter-Hans Kolvenbach, ottantaquattrenne, anch’egli eletto a vita durante la Congregazione generale della Compagnia (il ‘conclave gesuita’) e a sua volta dal 2008 primo dimissionario nella storia del sodalizio gesuitico e ormai indicato come ‘generale emerito’. Due papi emeriti, due papi in carica, uno bianco e uno nero.

UNA TENACE


leggenda nera, nata in gran parte nell’Inghilterra elisabettiana e alimentata nel mondo massonico, sparge da secoli equivoci e veleni sulla Compagnia di Gesù, accusata dei peggiori delitti (il «pugnal de’ gesuiti» di carducciana memoria) e dei più spregiudicati intrighi. Il gesuita è per definizione ipocrita: e d’altro canto la propaganda della Compagnia ha ripagato gli avversari di pari moneta, diffondendo ad esempio la caricatura del massone corrotto, avido e satanista. Certo i gesuiti dovevano obbedire alla Santa sede, ma soprattutto servirla efficacemente: per questo si dettero allo studio, fondarono scuole prestigiose nelle quali in tutta Europa venivano allevati i figli dei principi e si dettero allo studio della politologia e delle arti di governo. «Datemi un bambino e prendetevi tutto il resto», era motto circolante attribuito a sant’Ignazio: e significava che, se un fanciullo fosse stato allevato fin da piccolo secondo la disciplina della Compagnia, non l’avrebbe poi tradita mai. Specie in alcuni paesi europei, quali la Spagna e la Polonia, l’influenza della Compagnia sui governi fu profonda e duratura.
Ma la Compagnia trovò presto anche altri orizzonti in cui operare. Seguendo le navi portoghesi e spagnole, i gesuiti arrivarono fino all’India, alla Cina e al Nuovo Mondo, predicando la fede, ma anche contribuendo al progresso di popoli ai quali insegnarono le scienze e le tecniche occidentali. In tal senso fu famoso il contributo della Compagnia alla diffusione di certe forme di sapere — specie la matematica, la fisica, la balistica e l’architettura — sia in alcune corti indiane, sia in quella stessa dei Ming nella Città Proibita di Pechino.

PER MEGLIO


giungere ai loro scopi,i gesuiti non indietreggiarono dinanzi alla sfida acculturativa: appresero lingue e costumi dei popoli che li ospitavano e si adeguarono alla loro mentalità. Ricordate Franco Battiato? «Gesuiti euclidei / vestiti come bonzi per entrare a corte dell’imperatore / della dinastia dei Ming». La stessa cosa accadde anche in Giappone, dove tra Sei e Settecento intere nobili famiglie samurai si convertirono al cristianesimo. La spregiudicata sperimentazione della Compagnia determinò perfino l’adozione di riti e di strumenti liturgici indiani o cinesi nelle pratiche religiose cristiane, in modo da permettere ai fedeli brahmanistici o confuciani di accedere al cristianesimo attraverso un processo acculturativo che permettesse loro di non aver l’impressione di aver abbandonato le consuetudini avite.

SI EBBERO

così i ‘riti malabarici’ in India e la liturgia cristiano-confuciana sostenuta in Cina da un geniale gesuita marchigiano, padre Matteo Ricci, che ancor oggi i cinesi venerano insieme con Marco Polo come uno ‘straniero-padre della patria’, e che come tale con lui è effigiato nel parlamento della Repubblica Popolare. Ma l’Occidente non si rese conto dell’intelligenza e della finezza di quelle scelte, di quelle tecniche: e il papa ne ordinò la sospensione e poi la dispersione. Anche nel Nuovo Mondo la lungimiranza dei gesuiti fu oggetto di pregiudizi e di condanne. Tra 1608 e 1767 la Compagnia dette vita, nel bacino dei fiumi Paranà e Uruguay in America latina, tra Brasile, Paraguay e Argentina, all’esperienza di libere comunità indiane, le cosiddette reducciones, in cui gli indigeni si organizzavano e si governavano liberamente, lavorando e ridistribuendo tra loro i proventi del loro lavoro: da quel modello Tommaso Campanella assunse in parte l’ispirazione per la Città del Sole.

MA GLI SCHIAVISTI

bianchi, soprattutto portoghesi e spagnoli appoggiati dai loro rispettivi governi, vegliavano: e favorivano le incursioni dei mercanti di schiavi che provenivano da Sao Paulo (i famosi ‘paulistas’, detti anche ‘bandeirantes’) contro quelle colonie. I gesuiti a quel punto risposero organizzando addirittura militarmente gli indios, che in tal modo ressero a lungo agli assalti degli schiavisti finché non furono piegati da una spedizione militare portoghese in piena regola voluta dal primo ministro di Lisbona, il marchese di Pombal.
E allora si verificò l’assurdo paradosso: i biechi ipocriti gesuiti padrini delle libertà dei primitivi contro gli schiavisti appoggiati dall’illuminato e illuminista signor di Pombal. La cosa apparve così incredibile che Voltaire scrisse il
Candide presentandola in termini completamente stravolti, con i gesuiti fautori dello schiavismo e gli illuministi liberatori: egli, del resto, aveva lucrato comprando le azioni garantite dalla flotta portoghese inviata a reprimere la libertà india. Più tardi, Italo Calvino avrebbe ri-raccontato la vicenda nel suo Barone Rampante, nei termini falsati ripresi dal Voltaire. La verità storica è più rispettata nel film Missio che tuttavia, al suo esordio in Italia, Alberto Moravia avrebbe bollato come incredibile e inverosimile, dal momento che i gesuiti — lo sanno tutti… — altro non sono mai stati se non dei nemici della libertà e della verità.