Achille Perego
MILANO
LITALIA non può permettersi di perdere lindustria dellauto. Dallex premier Romano Prodi al presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, arriva il monito a fare di tutto perché il nostro Paese non veda ridimensionata la produzione della Fiat.
Dire auto, infatti, non significa solo parlare degli oltre 86mila dipendenti del gruppo torinese in Italia (24.400 nei sei stabilimenti Fiat: Mirafiori, Pomigliano, Grugliasco, Cassino, Melfi e la Sevel di Val di Sangro che produce veicoli commerciali) ma di un settore che secondo Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto (concessionari), vale come fatturato l11,4% del Pil, partecipa alle entrate fiscali per il 16,6% e occupa, con lindotto, 1,2 milioni di persone. E che rischia la scomparsa di 220mila posti di lavoro.
LALLARME riguarda anche la componentistica. Secondo lOsservatorio della filiera autoveicolare italiana, realizzato dalla Camera di Commercio di Torino con quella di Chieti e lAnfia, nel 2011 il settore aveva tenuto con un calo dei dipendenti del 4,3% a 179.101 mentre i ricavi prodotti da quasi 2.500 piccole e medie imprese erano cresciuti del 3,5% a 41,8 miliardi. Ma le stime sul 2012, caratterizzato da un forte ricorso alla Cig, sono drammaticamente peggiorate. Certo, se a fine anni Novanta lindotto dellauto (metà in Piemonte) dipendeva all80% da Fiat oggi (con laumento di commesse per Volkswagen, Citroen o Peugeot) siamo al 50%. Ma limpatto di un ridimensionamento del Lingotto sarebbe comunque pesante. Le imprese della filiera dellauto, spiega Alessandro Barberis, presidente della Camera di Commercio di Torino, «hanno saputo in questi anni essere dinamiche, innovative, aggregarsi e internazionalizzarsi seguendo anche gli insediamenti allestero delle case automobilistiche. Ma se non riparte il mercato dellauto europeo sarà sempre più difficile tenere botta alla crisi».
Ma i primi posti di lavoro a rischio sono quelli degli operai Fiat. Il piano Fabbrica Italia congelato adesso da Marchionne avrebbe dovuto più che raddoppiare entro il 2014 la produzione a 1,4 milioni di vetture. Praticamente quante se ne venderanno in tutto il 2012 nel mercato italiano, di cui Fiat però ha una quota del 30%.
GIÀ CHIUSE Termini Imerese e la Irisbus (Avellino), gli operai riassunti nella newco di Pomigliano confidano nel successo della nuova Panda (sottratta alla Polonia) e magari in un accordo con Mazda. La produzione di Cassino, dove si assemblano Bravo, Giulietta e Delta, sarebbe invece considerata tra le più a rischio tanto che cè chi immagina laccorpamento a un altro stabilimento (Pomigliano). A Melfi si teme il rinvio al 2015 della nuova Punto e a Mirafiori è stato sospeso in agosto linvestimento per la produzione del nuovo Suv targato Chrysler. Quanto basta per non dormire sonni tranquilli.
MILANO
LITALIA non può permettersi di perdere lindustria dellauto. Dallex premier Romano Prodi al presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, arriva il monito a fare di tutto perché il nostro Paese non veda ridimensionata la produzione della Fiat.
Dire auto, infatti, non significa solo parlare degli oltre 86mila dipendenti del gruppo torinese in Italia (24.400 nei sei stabilimenti Fiat: Mirafiori, Pomigliano, Grugliasco, Cassino, Melfi e la Sevel di Val di Sangro che produce veicoli commerciali) ma di un settore che secondo Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto (concessionari), vale come fatturato l11,4% del Pil, partecipa alle entrate fiscali per il 16,6% e occupa, con lindotto, 1,2 milioni di persone. E che rischia la scomparsa di 220mila posti di lavoro.
LALLARME riguarda anche la componentistica. Secondo lOsservatorio della filiera autoveicolare italiana, realizzato dalla Camera di Commercio di Torino con quella di Chieti e lAnfia, nel 2011 il settore aveva tenuto con un calo dei dipendenti del 4,3% a 179.101 mentre i ricavi prodotti da quasi 2.500 piccole e medie imprese erano cresciuti del 3,5% a 41,8 miliardi. Ma le stime sul 2012, caratterizzato da un forte ricorso alla Cig, sono drammaticamente peggiorate. Certo, se a fine anni Novanta lindotto dellauto (metà in Piemonte) dipendeva all80% da Fiat oggi (con laumento di commesse per Volkswagen, Citroen o Peugeot) siamo al 50%. Ma limpatto di un ridimensionamento del Lingotto sarebbe comunque pesante. Le imprese della filiera dellauto, spiega Alessandro Barberis, presidente della Camera di Commercio di Torino, «hanno saputo in questi anni essere dinamiche, innovative, aggregarsi e internazionalizzarsi seguendo anche gli insediamenti allestero delle case automobilistiche. Ma se non riparte il mercato dellauto europeo sarà sempre più difficile tenere botta alla crisi».
Ma i primi posti di lavoro a rischio sono quelli degli operai Fiat. Il piano Fabbrica Italia congelato adesso da Marchionne avrebbe dovuto più che raddoppiare entro il 2014 la produzione a 1,4 milioni di vetture. Praticamente quante se ne venderanno in tutto il 2012 nel mercato italiano, di cui Fiat però ha una quota del 30%.
GIÀ CHIUSE Termini Imerese e la Irisbus (Avellino), gli operai riassunti nella newco di Pomigliano confidano nel successo della nuova Panda (sottratta alla Polonia) e magari in un accordo con Mazda. La produzione di Cassino, dove si assemblano Bravo, Giulietta e Delta, sarebbe invece considerata tra le più a rischio tanto che cè chi immagina laccorpamento a un altro stabilimento (Pomigliano). A Melfi si teme il rinvio al 2015 della nuova Punto e a Mirafiori è stato sospeso in agosto linvestimento per la produzione del nuovo Suv targato Chrysler. Quanto basta per non dormire sonni tranquilli.
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