Antonella Coppari

ROMA, 6 agosto 2012 - «L’ITALIA non deve assolutamente domandare aiuti all’Europa per allentare la tensione su spread e tassi». Nessun tentennamento, nessuna indecisione: davanti alla richiesta di un giudizio sulle prossime scelte che Monti sarà chiamato a fare, Stefano Fassina — responsabile economico del Pd — lancia questo messaggio. La linea è netta: «Accedere al fondo salva-stati è sbagliato: nel quadro attuale di politica economica recessiva significherebbe prolungare l’agonia. Non ha senso farlo e non ha senso ripetere che ce la possiamo fare da soli, perché è impossibile quando si condivide la moneta. Servono politiche coordinate».

E se il governo chiedesse una mano all’Europa?
«Se si dovesse arrivare a quello scenario, Monti dovrebbe spiegare ai partiti che lo sostengono i motivi della scelta e chiedere il via libera al Parlamento. Io però sono convinto che non sia la strada giusta: la linea dei conservatori tedeschi che stiamo seguendo da tempo sta portando sempre più recessione. Sarei più prudente a considerare promettenti le ricette che vengono da Bruxelles e da Francoforte; in Grecia, in Irlanda, in Portogallo, in Spagna non stanno funzionando».

Gli aiuti comporterebbero il commissariamento di questo e del governo successivo da parte della trojka. Bersani dice che dopo Monti non sarà più tempo di larghe intese: neppure con l’intervento del fondo sarebbe necessaria una grande coalizione?
«Premesso che Monti al termine del consiglio europeo di fine giugno disse che aveva strappato la possibilità di accedere al fondo salva-stati senza condizioni aggiuntive, è una subordinata che ora non voglio prendere in considerazione. Noi, piuttosto dobbiamo lavorare in Europa perché si affermi una linea diversa, per cui i problemi sono dell’area euro, non dei paesi periferici».

Per sostenere questa politica Bersani a Palazzo Chigi dà più garanzie di Monti?
«Non è questione di garanzie: l’Europa e l’Italia hanno bisogno di una cura progressista. Bersani premier sarebbe l’interpretazione autentica dell’agenda discussa in Francia prima delle elezioni. Noi lavoriamo perché nel 2013 ci sia una netta affermazione del Pd e dell’alleanza progressista. Sarebbe un guaio non solo per la politica ma per la democrazia italiana se dovessimo tornare a larghe intese. Quelle attuali sono figlie di una situazione emergenziale: se ciò che è straordinario diventa ordinario c’è qualcosa che non va. Noi puntiamo a governare il paese con una coalizione progressista che ha un’ampia condivisione programmatica, alleati al centro di Casini con cui siamo stati insieme all’opposizione in questi anni».

Vendola può portare avanti un’agenda per il risanamento? Non ritiene che possa essere considerato un rischio in Europa? In fin dei conti, Prodi cadde per colpa di Rifondazione.
«No. Vorrei ricordare che l’Italia ha raggiunto l’obiettivo dell’euro quando nella maggioranza c’era anche il Prc di cui Vendola è la parte con maggior cultura di governo. Il leader di Sel ha indicato di condividere la carta d’intenti proposta da Bersani e in quella carta è molto chiaro l’ancoraggio all’europeismo progressista. L’europeismo conservatore che ci porta a fondo non va bene neanche a noi».