Nicoletta Magnoni
BOLOGNA
IERI, dieci anni fa, l’Italia mandava ufficialmente fuori corso la lira. E ieri Romano Prodi, l’allora presidente della Commissione europea, ha presentato a Bologna «Dieci anni con l’euro in tasca», una riflessione sul cammino dell’unione monetaria, ma anche e soprattutto sulla crisi di oggi. Tanto che, come hanno detto gli autori, Massimo Degli Esposti, Paolo Giacomin e Stefano Righi, durante l’elaborazione del libro, che ospita due lunghe interviste a Prodi stesso e a Jacques Delors, si è corso il rischio di dover celebrare un funerale piuttosto che un compleanno. «L’estate scorsa è stata tremenda — ha confessato Righi — non riuscivamo mai a deciderci a mettere il punto». «Il sogno è in difficoltà — ha detto il direttore di Qn e il Resto del Carlino, Giovanni Morandi, che ha moderato l’incontro —. Ma Prodi può forse consolarci».

UN INVITO che il professore, euroconvinto senza incrinature, ha colto con l’amarezza di dover difendere un disegno europeo che ha perso la forza delle idee durante il cammino. Ma anche con la certezza che «indietro non si torna. L’Unione verrà completata, passo passo, quando finirà l’era delle paure». E, ha aggiunto, «quando i leader torneranno a fidarsi del club di cui fanno parte» perché la crisi «poteva essere tamponata facilmente» se l’intervento fosse stato tempestivo. «Ma la discordia tra i leader europei ha reso la situazione molto più complessa». Il pensiero corre subito alla regia della granitica cancelliera tedesca e del presidente francese Sarkozy: «Due pistoni del motore — li ha definiti Prodi —. Uno grande e uno piccolo». Concentrandosi su «quello grande», l’ex presidente Ue ha dovuto ammettere che «nella Merkel c’è un senso missionario che mi secca quando dice di fare i compiti a casa. E quando si rivolge ai greci, non so se lo fa con un senso di predica o moralistico». Moralistico, sì, perché «è incredibile, ma in tedesco debito e colpa si scrivono nello stesso modo». Ma se il debito, al di fuori della Germania, può essere considerato con più indulgenza, certamente «c’è stato un comportamento allegro dell’Italia nei confronti dell’euro». «Le nostre difficoltà — ha spiegato Degli Esposti — non sono causate dall’euro, ma da quello non abbiamo fatto».

TRA QUELLO che l’Italia da lungo tempo caldeggia, ma che è l’Europa a non aver fatto, ci sono gli Eurobond, cioè titoli che finanzino il debito dell’intera Eurozona. Per Prodi «bisogna arrivarci per creare una difesa comune dagli attacchi a singoli Paesi. Mettiamoci tutto l’oro delle banche centrali, mettiamoci i gasdotti, gli oleodotti, ma prima o poi ci si deve arrivare», ha detto con tono che ha lasciato spazio all’ottimismo. Più dolente il punto dedicato alla crescita. Ogni Paese può inseguire la competitività come riesce. «Ma — piccola stoccata al rigorismo dei tedeschi sull’inflazione — Paesi come la Germania dovrebbero fare più spesa per dare fiato all’economia europea. L’economia tedesca, correndo, può mettere le altre al trotto».

SOLIDARIETÀ fra gli Stati dell’unione, dunque, quellain cui Jacques Delors — che fu presidente della Commissione Ue per tre mandati — ha talmente creduto «da parlare con entusiasmo anche di un freddo trattato come quello della Ceca, il primo embrione di unione, nato su acciaio e carbone», come ha ricordato Giacomin che con Delors ha conversato nel libro. «Un libro — ha assicurato Prodi — che è anche divertente perché ripercorre i fatti umani della storia dell’euro, quelli meno accademici».
Per finire, due domande, con un cognome e un numero. Monti? «Dopo i primi 100 giorni — ha risposto l’ex presidente del Consiglio — gli auguro che ne compia tanti altri». L’articolo 18? «Non ne parlo, neppure se i carabinieri in sala mi ammanettano».