Venezia, 18 febbraio 2012 - Carlo Nordio crede nel primato della politica e non crede che la verità processuale coincida necessariamente con la verità storica: questo fa di lui un magistrato eccentrico. Ai tempi di Mani pulite, da sostituto procuratore di Venezia indagò, tra gli altri, Occhetto e D’Alema. Ma archiviò la loro posizione.

Ciò significa che il Pci-Pds si finanziava legalmente?
"No. Noi concludemmo che in mancanza di prove certe sulla responsabilità individuale dei segretari non potesse valere il principio del ‘non poteva non sapere’ applicato invece altrove, e perciò chiedemmo l’archiviazione...".

Ma?
"Ma è storicamente inoppugnabile che il Pci sia stato finanziato in modo illecito e clandestino dall’Unione Sovietica, che pure teneva i suoi missili puntati contro l’Italia: un sacrilegio al limite del tradimento politico".

Lei, però, indagò sul canale interno di finanziamento...
"Trovammo che il Pci-Pds godeva del finanziamento indiretto e continuo da parte della Lega delle cooperative, tant’è che il signor Fontana, dirigente veneto di Legacoop, patteggiò la pena".

Non è dunque vero che il Pds ne uscì pulito.
"Ricordo che un dirigente del partito, Sergio Reolon, scrisse una lettera all’allora segretario Occhetto dicendo che Fontana finanziava il Pds, e questo era un bene, ma poiché c’era il sospetto che si mettesse in tasca dei soldi andava rimosso".

E Occhetto?
"Confermò Fontana e rimosse Reolon".

Il sistema riguardava tutti, no?
"A parte i radicali, direi. In Veneto le quote delle tangenti erano note: 40% alla Dc, 40% al Psi, 20% al Pci. Ma il sistema è cambiato, oggi la corruzione è soprattutto personale".

Il pool di Milano fu indulgente col Pds?
"No, Greganti si fece quattro mesi di carcere, ma a differenza di altri non parlò. E se nessuno parla le indagini si fermano".

Cos’altro trovò, indagando?
"Trovammo la prova che dall’archivio del Pci erano stati sottratti tutti i fascicoli relativi alle numerosissime proprietà immobiliari intestate a prestanome e pertanto mai messe a bilancio dal partito".

Il pool milanese forzò il diritto per ragioni politiche?
"Ho una regola: non commento quel che fanno i colleghi. Le dirò però che a suo tempo io stesso esagerai con la carcerazione preventiva. Tornassi indietro, non lo rifarei".

Si sentiva anche lei un protagonista della Storia?
"No, mai pensato d’essere investito di una missione salvifica".

Altri sembravano pensarlo...
"Che vuole che le dica, non mi è piaciuto che molti colleghi di allora siano poi entrati in politica alimentando così il sospetto, di certo sbagliato, d’aver gestito strumentalmente le inchieste. Parlo per me: riterrei giusto che il parlamento varasse una norma per impedire l’eleggibilità di un magistrato".

Con l’accusa di aver criticato il pool, lei fu messo sotto processo dall’Anm. Un caso raro.
"Fui convocato con metodo stalinista, ma rifiutai di presentarmi. Dopo un po’ chiesero alla Paciotti, allora presidente dell’Anm, come intendesse procedere e lei, con ciò aggravando la sua posizione, disse che non era più interessata a processarmi".

Lei è tra i pochi magistrati a credere nel primato della politica.
"Ritengo che, essendo legittimato dal popolo, in democrazia il potere politico sia superiore al potere giudiziario, che è una semplice convenzione. Ma non creda, tra i magistrati non sono l’unico a pensarla così".