Iacopo Scaramuzzi
ROMA
«VORREI

potermi mettere in ascolto della vicenda personale di ciascuno, ma purtroppo non è possibile…». Il Papa visita il carcere romano di Rebibbia e viene accolto da un lungo applauso dei detenuti, chi può si allunga per stringergli la mano o per baciargliela. L’atmosfera è quella delle grandi occasioni, ma, dopo i discorsi ufficiali, Benedetto XVI sceglie di colloquiare semplicemente con i carcerati. Domande e risposte dirette, senza retorica e senza giri di parole, che danno all’incontro un tono autentico e familiare.
Ratzinger sa che il significato di questo incontro sarà letto anche in chiave di politica interna italiana e infatti chiede al Governo attenzione per le condizione di vita dentro i penitenziari e definisce l’affollamento «una doppia pena», ma non vuole abdicare al suo ruolo di pastore, e nel lungo colloquio con i detenuti parla soprattutto di rinascita interiore e di Dio.

«TI VOGLIO BENE»


, gli dice Omar. «Anch’io ti voglio bene», gli risponde il Papa, «so che in voi il Signore mi aspetta». Benedetto XVI ricorda che per il Vangelo «dovunque c’è un affamato, uno straniero, un ammalato, un carcerato, lì c’è Cristo stesso che attende la nostra visita e il nostro aiuto». Spiega: «Sono venuto però a dirvi semplicemente che Dio vi ama di un amore infinito e siete sempre figli di Dio».
Federico ricorda la difficoltà di lasciarsi alle spalle il passato e le maldicenze. «Siamo caduti, ma siamo qui per rialzarci», risponde Ratzinger con il solito inconfondibile accento tedesco. «Dobbiamo sopportare che alcuni parlano in modo feroce, parlano in modo feroce anche contro il Papa, e tuttavia andiamo avanti». Alberto è diventato papà da un mese e protesta perché non può vedere sua figlia. Nwaihim, africano, si commuove quando il Papa gli racconta il suo recente viaggio in Benin, un paese «sofferente» che però mostra «gioia, allegrezza, più che nei paesi ricchi. E questo — aggiunge — mi fa pensare che nei paesi ricchi la gioia è spesso assente...». Spiega, il Papa teologo, che «gli uomini non sono in grado di applicare la giustizia divina, ma devono almeno guardare ad essa, cercare di cogliere lo spirito profondo che la anima».

AD ACCOMPAGNARE


il Papa è la neoministro alla Giustizia, Paola Severino. Ai microfoni di Radio vaticana la Severino ha definito una «felicissima coincidenza» la visita del Papa e la recente approvazione del decreto ‘svuota-carceri’. A Rebibbia legge al Papa una lettera — di cui riportiamo alcune frasi nel grafico qui sotto — che gli è stata consegnata da un detenuto durante la sua visita nel carcere di Cagliari, lunedì scorso. È stata scritta da un siciliano, che ha regalato alla Severino anche un presepe in miniatura. Il ministro sottolinea che «la custodia cautelare in carcere deve essere disciplinata in modo tale da rappresentare una misura veramente eccezionale». E chiude con la frase con cui termina la lettera: «Se aiuteremo la barca di nostro fratello ad attraversare il fiume, anche la nostra barca avrà raggiunto la riva». Dice il Papa: «So che il sovraffollamento e il degrado delle carceri possono rendere ancora più amara la detenzione», poi chiede «un’attenta analisi della situazione carceraria oggi, verifichino le strutture, i mezzi, il personale, in modo che i detenuti non scontino mai una doppia pena».

QUANDO

il carcerato Rocco gli racconta della situazione drammatica nelle prigioni italiane, il Papa dice: «Abbiamo sentito il ministro della Giustizia, possiamo essere convinti che il nostro Governo e i responsabili faranno il possibile per migliorare questa situazione». Prima che il Pontefice lasciasse la casa circondariale, dalla finestre delle celle e dietro le transenne dove si trovavano i detenuti, in molti hanno urlato «amnistia, amnistia».