ROMA, 11 novembre 2011 - CHI CI HA PARLATO dice che il neosenatore a vita Mario Monti riassume in quattro aggettivi i requisiti necessari per far parte del suo (probabile) governo: «Autorevolezza, competenza, credibilità internazionale, esperienza istituzionale». Un governo di alto profilo. Che, nascendo per sopperire alla scarsa credibilità dell’intero ceto politico, dovrebbe essere composto esclusivamente da ‘tecnici’. Un vecchio frequentatore di Monti con uso di mondo la mette invece così: «Essendo vanitoso, Mario vorrebbe essere l’unico a rifulgere della dorata luce del ‘tecnico’ e poiché è anche ambizioso e si rende conto che il vero problema sarà far votare dal Parlamento provvedimenti rigorosissimi che i ministri fingeranno di discutere ma che verranno scritti altrove, accetterà le condizioni che i partiti gli imporranno». Brutale, ma forse realistico. Anche se a destra come a sinistra si osserva che a dare le carte e riempire le caselle sarà in primo luogo Giorgio Napolitano. «Il governo del Presidente», lo chiamano.



QUANTO ai partiti, tremano. Soprattutto Pd e Pdl. I cui leader subiranno la nascita del governo Monti e, sapendo che i loro alleati saranno in piazza a denunciarne i guasti «sociali», già ne temono l’ombra. Non a caso, i segretari e i leader come Casini se ne terranno fuori. L’idea di Bersani, per dire, è quella di porre il veto agli attuali ministri berlusconiani e far nominare il solo Enrico Letta. Ma non tanto perché è vicesegretario del Pd quanto perché sembra un ‘tecnico’. Se non che, nel mezzo dell’ultimo coordinamento del partito, Massimo D’Alema ha scandito: «Basta timidezze, dobbiamo appropriarci del governo Monti». Metterci, cioè, il cappello del partito. Qualcuno ha pensato punti agli Interni; ogni decisione è stata accantonata di conseguenza. Ma tutta questa voglia di farsi notare nel nuovo esecutivo non c’è. Neanche nel Pdl. Dove infatti non si esclude di far fare al governo Monti la fine che fece la Bicamerale D’Alema: alle brutte, il tavolo finirà gambe all’aria.



EPPERÒ con la leadership di Berlusconi in crisi, a dominare sono le ambizioni personali. Rafforzate da relazioni consolidate. Frattini si considera dunque già confermato agli Esteri e Fitto agli Affari regionali. Berlusconi si sentirebbe più sicuro se Gianni Letta fosse confermato sottosegretario alla presidenza, per bilanciarlo Monti gli affiancherebbe un uomo fidato con entrature europee: Enzo Moavero. Naturalmente, il Cavaliere vorrebbe ancora Nitto Palma alla Giustizia. E’ escluso, circola però il nome del magistrato Carlo Nordio. Almeno lo Sviluppo, caro a Mediaset, glielo lasceranno? Casini pende per il sì, Bersani per il no.

 

Nel Terzo polo, aspirano a un ruolo Buttiglione, Pisanu, Lanzillotta e, pare, Rutelli. Ma se Monti, aiutato dai veti incrociati, riuscisse a piazzare nei 12 ministeri con portafoglio solo frutti della società civile, come tutti i politici anche loro finirebbero in dicasteri minori e posti di sottogoverno.

 

A cavallo tra scienza e politica, Giuliano Amato (che oscilla tra Esteri e Interni) e Franco Bassanini (Pubblica amministrazione). Quanto ai tenici puri, circolano i nomi di Umberto Veronesi (Sanità), l’economista Francesco Giavazzi, il rettore della Bocconi Guido Tabellini e, da Bankitalia, Fabrizio Saccomanni. Per lui si ipotizza il ministero dell’Economia, anche se sta prendendo corpo la voce che Monti intende tenerlo per sè. Un interim. Sperando che il governo nasca e soprattutto che duri.