dall’inviato

Gabriele Moroni
GENOVA
UN ALLARME,



più allarmi venuti da lontano. Inascoltati perché le parole sono andate perdute nel tempo e il tempo ha depositato tappeti di polvere sulla carta bollata di una denuncia. E don Riccardo Seppia, parroco sospeso di Sestri Ponente, è rimasto prete per ritrovarsi oggi — sieropositivo confesso e dichiarato dopo numerosi rapporti occasionali e non protetti, cocainomane di lungo corso — nel carcere genovese di Marassi. Costretto a difendersi dalle accuse di violenza su un minore (un chierichetto di 15 anni affetto da un lieve ritardo mentale) e di cessione di cocaina offerta a ragazzi per appagare le sue bramosie Storia, storiaccia che affonda le sue radici, rimaste finora nascoste, in un passato più che remoto.

DON PIERCARLO

Casassa ha 73 anni, una volontà granitica che sostiene una salute fragile. Dall’81 al ‘91 è stato parroco di San Giovanni, la parrocchia principale di Recco. «Don Riccardo — ricorda — è arrivato qui come coadiutore 26 anni fa. Non mi ha convinto fin dall’inizio. Gli avevo assegnato la pastorale dei giovani, a contatto con ragazzi e ragazze. Nella parrocchia non esisteva. Stava fuori la notte. La mattina suonavo alla sua porta e non c’era. Non compariva mai prima delle due, due e mezzo del pomeriggio. Ho chiamato i genitori, cercavo collaborazione perché lo richiamassero. Mi hanno descritto il figlio com un povero bambino assicurandomi che alla fine mi sarebbe stato d’aiuto. Una volta ha portato i ragazzi al mare. Quando sono tornati hanno detto che non sarebbero andati mai più in spiaggia con don Riccardo. In più di una occasione alcuni genitori dei ragazzi scout mi hanno manifestato il loro disagio per quello che appariva un atteggiamento quasi morboso di don Riccardo. A questo punto gli ho tolto l’incarico». Capita anche che il parroco trovi radunato sul sagrato il gruppetto dei chierichetti che si rifiutano di rientrare in chiesa. Don Piercarlo è un puro di cuore, quasi ignora che esista l’omosessualità, la parola pedofilia è assente dal suo vocabolario.

QUANDO

la misura è colma, chiede un colloquio con il cardinale Giuseppe Siri. Un grande personaggio, il «cardinale di ferro» anche se non è più arcivescovo di Genova e si avvia al tramonto della vita. «Mi sono sfogato con il cardinale. Gli ho chiesto un consiglio e mi ha risposto ‘fa quello che hai sempre fatto’ Siri era sempre Siri. Sarà stato un caso, ma poco dopo il mio colloquio con lui don Riccardo è stato mandato alla parrocchia di Quinto». Nel Levante genovese si apre un’altre storia: quella di una inchiesta rimasta sepolta. E’ il 1994. I tre figli di un medico sono bersagliati da telefonate a sfondo sessuale. Il professionista firma dai carabinieri una denuncia contro ignoti. Il telefono viene messo sotto controllo. Si scopre così che le chiamate scurrili, blasfeme, che sembrano non interrompersi mai, provengono dalla parrocchia di San Pietro, dall’apparecchio del vice-parroco don Riccardo. Diciassette anni prima che il caso deflagri. Le telefonate s’interrompono.
La curia trasferisce don Seppia, nominato parroco di Clavarezza, Pareto e Frassinello in Valbrevenna. Dell’inchiesta si perde ogni traccia.

IN CARCERE,


don Riccardo nega la pedofilia, ammette l’ossessione sessuale ma non con minori, classifica come gioco erotico, come fantasie ripetute decine di volte al telefono per eccitarsi assieme con il suo interlocutore, tutte quelle frasi incredibili, quasi irripetibili che sono andate a riempire i verbali.