Elezioni comunali 2021: ecco dove i leader si giocano tutto

Il 3 e 4 ottobre le prime amministrative post-Covid. Non solo sindaci, l’esito avrà ripercussioni nazionali

Elezioni comunali: al voto il 3 e 4 ottobre

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È la prima vera, grande prova elettorale nazionale all’uscita della pandemia. E questo non è un elemento di poco conto: che cosa ha lasciato il virus nell’Italia profonda, nelle viscere sociali, economiche, addirittura antropologiche, di un Paese martoriato da morti, lockdown, limitazioni, dad e tentativi di ripresa, lo scopriremo lunedì pomeriggio nelle urne aperte. A cominciare da quello che è uno dei dati più attesi, la partecipazione al voto, dalla quale dipenderà in maniera determinante (e vedremo come) "anche" il risultato elettorale.

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La posta in gioco, a pochi mesi dall’elezione del nuovo presidente della Repubblica e a poco più di un anno dalla consultazione politica (sempre che non venga anticipata), è alta per tutti i leader in campo, per alcuni altissima, dentro e fuori i rispettivi partiti. E, dunque, una chiave di lettura possibile può essere proprio quella relativa ai rischi e alle opportunità per i singoli partiti e per i protagonisti di questa stagione, oltre che per il futuro delle alleanze in essere o in cantiere.

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Con l’avvertenza che le somme finali si potranno trarre solo alla fine dei ballottaggi, mentre il primo turno potrebbe rivelarsi in più di un caso un’illusione ottica. Se guardiamo alle sei città capoluogo (Roma, Milano, Napoli, Bologna, Torino e Trieste), un’utile indicazione sarà proprio quella relativa alle vittorie al primo turno o al rinvio della partita ai ballottaggi: è evidente che se il Pd-centrosinistra o il Pd-grillini-sinistra incasserà subito un successo a Milano, Bologna e Napoli, andando al ballottaggio nelle altre tre città, conteranno relativamente poco la vittoria del centrodestra (data per molto probabile) alla Regione Calabria o la sconfitta di Virginia Raggi a Roma. Se poi il candidato Pd nella Capitale, Roberto Gualtieri, dovesse vincere quindici giorni dopo, Enrico Letta (direttamente impegnato nel collegio di Siena, ma senza troppi pericoli) diventerebbe automaticamente il trionfatore della tornata elettorale: e questo, di fatto, accadrebbe anche in presenza di un esito non brillante delle liste del Nazareno, magari sotto il 20%. Dunque, per il leader Pd, sarà Roma la madre di tutte le battaglie: è lì che si gioca un pezzo rilevante della sua leadership futura.

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Tant’è che viene di conseguenza il ragionamento opposto: un’eventuale sconfitta dell’ex ministro dell’Economia a Roma, a maggior ragione se dovesse essere battuto da Carlo Calenda, avrebbe effetti diretti sull’ex premier chiamato da Parigi, anche perché le altre tre vittorie non sarebbero ascrivibili a lui direttamente: a Napoli, Gaetano Manfredi non dovrebbe avere rivali forte dei suoi voti e dell’appoggio di Vincenzo De Luca, oltre che del duo Luigi Di Maio-Roberto Fico, a Milano e Bologna sono i partiti locali e i candidati, Giuseppe Sala e Matteo Lepore, a tirare.

Il dato delle liste dei partiti, però, diventa decisivo per valutare appieno le performance e le conseguenze per gli altri leader. In questo contesto è sicuramente Matteo Salvini il capo politico che si gioca la partita più difficile, perché preceduta dal caso Morisi e dalla contesa interna con Giancarlo Giorgetti: ebbene, con una Lega che dovesse arrivare seconda rispetto a Fratelli d’Italia e che dovesse, per giunta, ottenere un risultato non favorevole al Sud, si aprirebbe il processo al segretario. E non è detto che l’asse governatori-Giorgetti non finisca per mettere con le spalle al muro Salvini. Da questo punto di vista, non corre pericoli Giorgia Meloni: se Fratelli d’Italia conquista il primato, per lei sarà l’apoteosi e ci si dimenticherà presto che la maggior parte dei candidati sindaci del centrodestra sono stati scelti da lei. Se dovesse arrivare a un’incollatura dalla Lega, ugualmente non sarà messa in discussione. Per Forza Italia, invece, a fare la differenza tra la caduta libera e la buona sopravvivenza saranno 2-3 punti percentuali: un conto è stare tra il 5 e il 7%, un altro è collocarsi tra il 7 e il 10%.

I grillini, ultimi, ma non ultimi. Anzi. Le due cartine di tornasole sono la sorte della Raggi e la soglia del 10-12 per cento come partito: entrambi i traguardi sono a rischio e con essi il destino di Giuseppe Conte, perché gli sarà complicato comunque compensare un’eventuale debacle con la vittoria di Napoli: e anzi, quel successo sarà solo di Di Maio e Fico, il duo che a tempo debito darà l’assalto al potere liquido dell’ex premier.

In poco meno di 48 ore, dunque, si decideranno assetti di non brevissimo periodo. Non ultimo anche il destino dello stesso governo Draghi.