
Il ministro Tajani
Bologna,
20 giugno 2025 – Terzo mandato, partita chiusa. O quasi. L’ultima parola spetta ai leader: ne parleranno oggi a margine del Consiglio dei ministri, sempre che non decidano di dare la partita per persa. Di spiragli in effetti non sembrano esserne rimasti. A dichiarare il fallimento di una trattativa che si è svolta sotto banco nelle ultime settimane è stato ieri all’ora di pranzo il capogruppo azzurro alla Camera, Paolo Barelli: "Per Forza Italia si chiude qui il discorso".La tempistica sembra indicare più il naufragio della contrattazione che non una posizione di principio irremovibile del partito azzurro. Poco prima della sparata di Barelli, infatti, era stato il presidente dei deputati di FdI, Galeazzo Bignami, a eliminare dal tavolo del mercanteggiamento quella che forse era la vera posta a cui mirava Antonio Tajani, lo Ius Italiae: "Sul tema della cittadinanza noi abbiamo preso atto della proposta di FI, non la condividiamo, non fa parte del programma, non riteniamo che si possa andare avanti visto anche il forte consenso degli italiani sulla legge attuale". La ricerca di mediazione in questi giorni aveva toccato svariati capitoli: i sindaci di Verona e Milano erano un prezzo ritenuto accettabile dalla premier propensa, dopo essere stata per anni blindata sulla posizione opposta, a concedere un mandato in più ai governatori, con l’obiettivo soprattutto di mettere nei guai il centrosinistra in Campania e, forse, anche in Puglia.
Il vicepremier azzurro non si è accontentato: quello lo considera un piatto di lenticchie per il quale non ci si può vendere. Sull’Irpef, altra merce di scambio già molto più quotata, il problema non è tanto la volontà di Giorgia, convinta che il taglio delle aliquote per i ceti medi sia necessario, ma i conti di Giancarlo Giorgetti (ha spiegato che i quattro miliardi richiesti dall’intervento non ci sono), per non parlare del braccio di ferro con la Lega che vuole quei soldi per la pace fiscale. Su un punto però FdI non era disposta a cedere: la cittadinanza, insomma la legge sullo Ius Italiae (evoluzione della proposta avanzata in estate, lo Ius Scholae). Il capitolo immigrazione è quanto di meglio la destra possa vantare agli occhi dei suoi elettori, fuori questione mettere tutto in discussione per il terzo mandato. È chiaro che la reazione di Barelli è conseguenza diretta e direttamente proporzionata al pollice verso di Bignami sullo Ius Italiae.
Inaspettata, per certi versi, la risposta della Lega. Stefano Locatelli, responsabile degli Enti locali, commenta a strettissimo giro senza alzare barricate: "Prendiamo atto con grande rammarico che Forza Italia non intende ragionare sul terzo mandato, e di certo sono irricevibili scambi con cittadinanza facile o Ius Scholae". Una dichiarazione che sembra confermare ciò che molti sospettavano: la scarsa passione di Matteo Salvini per la battaglia del terzo mandato. Combattuta più come atto dovuto che con vera convinzione. Di fatto la Lega ha accettato di liquidarla in fretta chiedendo, con lo stesso Locatelli, di scegliere "al più presto i candidati migliori". Anche perché sul Veneto la premier sembra rassegnata a candidare un leghista (resta la contrarietà dei tricolori veneti) e non è escluso che il Capitano consideri un leghista meno onnipotente dell’eterno vicerè Luca Zaia (che ha incontrato i dirigenti del suo partito a Roma nei giorni scorsi) più un regalo che un dispetto.
Non si può però dare la vicenda per definitivamente conclusa. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, massimo rappresentante dell’ala di FdI favorevole all’estensione dei mandati, irrompe: "La cosa importante è confrontarsi, poi decideranno insieme i leader dei partiti e i capigruppo di maggioranza e opposizione". Insomma, un’ultima spiaggia ancora c’è e La Russa non rinuncia a sperarci: il tempo stringe, è vero, ma scade martedì. Quando in commissione Affari costituzionali del Senato si dovranno presentare gli emendamenti al disegno di legge sul numero dei consiglieri e assessori regionali, veicolo scelto per eventuali cambiamenti al tetto delle due legislature per i governatori.