Vendola e il 25 aprile: "Vittime e carnefici sono diversi. L’unica memoria è l’antifascismo"

Il fondatore di Rifondazione comunista: "Possiamo condividere solo questo, Meloni deve capirlo. Non si possono mettere insieme quelli mandati ad Auschwitz e quelli che li mandarono"

Quali responsabilità hanno le forze politiche di fronte al 25 aprile?

"Hanno la grande responsabilità di confrontarsi con i nodi di fondo della nostra Storia, dicendo parole di verità e coraggio – esordisce Nichi Vendola, politico-intellettuale di riferimento della sinistra che non fa sconti sull’antifascismo –. Dunque, finché Meloni e i suoi fratelli giocheranno a nascondino con le loro radici, finché non capiranno che non si possono mettere insieme quelli mandati ad Auschwitz e quelli che li mandarono, saremo sempre prigionieri del passato. E diremo di Meloni quello che lo scorpione dice di sé, mentre uccide la rana che pure lo stava salvando: è la mia natura!".

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Nichi Vendola
Nichi Vendola

Siamo, dunque, di nuovo allo scontro frontale su fascismo-antifascismo: perché?

"Perché, per dirla con Bertolt Brecht, ‘il ventre che partorì la cosa immonda è ancora fecondo’. Il fascismo è stato sconfitto il 25 aprile del 1945, ma non è morto quel giorno: si è schiantata la dittatura, si è liquidato il regime mussoliniano, ma le culture che lo hanno innervato, i miti che lo hanno accompagnato, la retorica con cui ha vestito vent’anni di tirannide: tutto questo ha resistito, si è riorganizzato nel Msi e nei gruppi dell’estrema destra, ha intrecciato relazioni criminali con apparati deviati dello Stato, con i servizi e con la massoneria e le mafie. Il neofascismo ha covato le sue uova di serpente in tutto il dopoguerra, fino alla stagione del terrore nero inaugurata il 12 dicembre 1969 a piazza Fontana a Milano e proseguito per un decennio".

Ma quella stagione è finita: perché non considerarla consegnata alla storia del Novecento?

"Perché non ha mai smesso di avvelenare i pozzi della democrazia, mistificando la storia e propagandando l’apologia dell’uomo forte, l’italianità come primato, il nazionalismo come una fede, il razzismo come legittima difesa, sposando di volta in volta le posizioni più reazionarie contro la libertà delle donne e contro i diritti civili".

C’è, insomma, una sorta di "fascismo eterno” contro il quale dover rimanere sempre in guardia?

"Il fascismo, per usare le parole di Gramsci, fu una ‘rivoluzione passiva’, cioè una contro-rivoluzione. Ma fu ed è ancora anche, per usare le parole di Piero Gobetti, “l’autobiografia di una nazione”. E non è un caso se la sua ombra tenebrosa accompagna la vita italiana: il fascismo non è stato mai elaborato fino in fondo, fino, per esempio, a smetterla di trastullarsi con la fiaba degli ‘italiani brava gente’. I fascisti italiani sterminarono con i gas le popolazioni africane durante le avventure coloniali, furono al pari dei nazisti persecutori e rastrellatori di ebrei, furono funzionari zelanti e sanguinari dell’occupazione tedesca dell’Italia. Non ci fu un fascismo buono e uno cattivo".

Non considera raggiunta politicamente questa acquisizione?

"Il gruppo dirigente di Fratelli d’Italia è nato e cresciuto nel mito del ‘fascismo rivoluzionario’, di quello delle origini e di quello dell’epilogo a Salò. Il monumento al generale Graziani, uno specialista della carneficina, è una vergogna attuale. Il legame costituente con la figura di Almirante idem. Le parole indecenti di La Russa sono una epifania, il suo seggio al vertice dello Stato è un vulnus per la coscienza democratica del Paese. Persino lo stile squadrista di esponenti di spicco del partito del presidente del consiglio spiega perché è necessario evocare il fascismo".

Ritiene, dunque, che oggi ci siano rischi di derive fascistoidi o autoritarie?

"È ovvio che gli antifascisti reagiscano al tentativo sistematico di riscrivere il passato per condizionare il presente. Se si cammina verso una Italia smemorata diventa più facile spingere verso derive plebiscitarie, verso il ripristino dello Stato etico, verso la caccia allo straniero e al diverso. Perché in queste acque torbide hanno sempre pescato il loro consenso".

Non crede che si utilizzino queste categorie e queste ombre per fini di lotta politica attuale?

"Sempre la lotta politica si nutre di tradizioni, memorie, epiche del passato. Il fatto è che abbiamo non il fascismo al potere, ma certo i fascisti al potere. Ci sono i neofiti come Salvini. Poi ci sono i mascherati, gli imboscati, i resuscitati: ma sono fascisti e fanno danni. Per esempio, la legislazione repressiva e panpenalista, dai rave all’immigrazione, che stanno promuovendo è tipica di una cultura illiberale. La criminalizzazione dei poveri e la tutela della ricchezza danno il senso di un antico mestiere dei fascisti: non servire il popolo, ma populisticamente e paternalisticamente servirsi del popolo…".

Non c’è speranza, insomma, di conquistare, come Paese, il terreno di una memoria condivisa?

"C’è una memoria condivisa, non occorre inventarne una che puzza di manipolazione: ed è una memoria plurale, ricca, bellissima. Si chiama antifascismo".

Lo vede mal difeso o in crisi?

"Dal mio punto di vista occorre che l’antifascismo rompa la campana di vetro in cui riposa come cimelio, per tornare a essere la religione civile del nostro Paese".