
Uno scrutatore esamina una delle schede depositate nelle urne. Il voto ieri si è concluso in tutta Italia alle ore 15
Stavolta la contro-narrazione degli sconfitti non turba i festeggiamenti di chi ha vinto. In termini concreti non c’è spazio per dubbi di sorta: il quorum (50% + 1 degli aventi diritto) non è stato neppure sfiorato in nessuno dei 5 quesiti referendari. L’affluenza in Italia non va oltre il 30, 6% (diventa più bassa con i votanti all’estero), e la sorpresa in più è che un terzo degli italiani che hanno votato sulla cittadinanza ha bocciato il quesito. L’aritmetica e la politica però non sono la stessa cosa, e su questo fa leva soprattutto il Pd: "È la destra che esce perdente. Giorgia Meloni è a Palazzo Chigi con 12 milioni e 300 mila elettori. Qui hanno votato 15 milioni di persone", riassume Francesco Boccia.
Il conto bizzarro non agita nessuno nella maggioranza per vari motivi. Considerare omogenee prove diverse quanto le politiche e il referendum è una forzatura. Non solo: se si tiene conto di chi (tra 10,9 e 12,6 per cento) nei referendum sul lavoro ha votato no, l’argomentazione del Pd viene quasi smantellata. Sia in percentuale che in assoluto gli elettori sono quelli che avevano votato per sinistra e M5s nel 2022. La vera paura della destra era che i rivali riuscissero ad allargare la platea. Così non è stato: di qui la soddisfazione di governo e maggioranza. Il ’più uno’ ce l’hanno messo i referendari politicizzando la prova, puntando più sulla chiamata alle armi contro il governo che sul merito dei quesiti. Una strategia che la premier ha assecondato con l’invito a non ritirare la scheda. La scelta di chiamare all’astensione senza perdere l’aura istituzionale è considerata a Palazzo Chigi un colpo da maestra. "Siamo più forti. Un’alternativa a noi non esiste", il ragionamento di Giorgia Meloni con i suoi. "È arrivata una sonora bocciatura per la sinistra", sorride la sorella Arianna.
Maurizio Landini è inviperito: se ci si fosse limitati al merito, sarebbero stati di più gli italiani che, pur votando a destra, non gradiscono condizioni lavorative che prevedono pochi diritti e nessuna sicurezza. Le cose sarebbero state diverse se la Consulta avesse passato il quesito sull’Autonomia differenziata: la destra avrebbe dovuto chiedere al suo popolo di mobilitarsi e i referendum sul lavoro sarebbero andati in altro modo. Ma la storia non si fa con i se, e la maggioranza si scatena. Battute, ironie, disegni. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, annuncia di aver votato per un referendum, quello sulla sicurezza, ed elogia Landini: "È stato il più lucido, ma ha sbagliato. Le norme si modificano in Parlamento". Avverte: "Il campo largo è definitivamente morto". FdI sfodera un manifesto con i dirigenti del centrosinistra in lutto: "Sfratto annullato, sinistra sconfitta, governo rafforzato". Poi mira al quesito sulla cittadinanza. "Il voto mette una pietra tombale sulla visione ideologica sull’immigrazione che ha la sinistra". D’accordo Matteo Salvini che parla di "enorme sconfitta" per una "sinistra senza idee". Duro Antonio Tajani: "Voleva essere una spallata al governo, la sconfitta lo rafforza". Concetti diffusi nella maggioranza assieme alla consapevolezza che la botta presa dall’opposizione attutisce l’eco della manifestazione su Gaza.
Come sempre all’indomani di un referendum fallito fioccano le richieste di rivedere le regole. Maurizio Lupi, unico tra i leader di maggioranza ad aver dato l’indicazione di non disertare le urne, chiede di portare a un milione le firme necessarie. Sulla carta nessuno è contrario, ma probabilmente non se ne farà niente. Imporrebbe di modificare anche il quorum allora sì che la minaccia si concretizzerebbe. "Sono cambiamenti da fare insieme", avverte Giovanni Diamanti (Youtrend). Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, assicura: "Non c’è nessuna iniziativa concreta sulle firme". Reale invece la tentazione di modificare con il terzo mandato le regole per l’elezione di sindaci e governatori. Il campanello di allarme di Genova è stato bissato ieri a Taranto. Forte il desiderio di rovesciare i pronostici delle regionali cambiando le regole. Temi che saranno discussi oggi nel vertice dei leader convocato dalla premier a Palazzo Chigi.