Davide
Nitrosi
Qualcuno potrebbe definirli vittime collaterali. Ma i figli e le figlie delle donne uccise nei femminicidi non possono essere definiti ’collaterali’, non sono un’appendice di una storia più grande. Sono parte della storia, parte della tragedia che si consuma con una ripetizione ossessiva e insostenibile in questo Paese. Ogni donna è una rete di sentimenti che si spezza. E quando questa rete comprende i figli, quando i figli sono bambini, la tragedia si amplifica ancora di più e chiede una risposta adeguata che non può limitarsi ad un fondo economico di aiuti (300 euro al mese per ogni orfano), borse di studio e agevolazioni. Quando si parla di prevenire bisogna tenere conto di questi figli distrutti dalla furia di un uomo. Come ci interrogheranno questi bambini una volta cresciuti senza avere una spiegazione? Ci interrogheranno con le stesse domande che ci hanno fatto i figli delle vittime del terrorismo o della mafia: dov’era lo Stato, perché non ha protetto noi e le nostre madri? E che cosa ha fatto, questo Stato ciarliero e inefficace, per assicurare non solo giustizia, ma per sradicare la piovra delle violenza sulle donne? Abbiamo sentito litanie di promesse. Il Codice rosso, il giro di vite contro gli stalker, la protezione delle donne che denunciano. Poi scopri che sembra impossibile costringere una procura a raccogliere entro tre giorni la testimonianza di una donna minacciata e garantirle sicurezza. Scopri che portare il tema dei femminicidi nelle scuole – del falso amore, del possesso violento – per discuterne e prevenire, con l’educazione, diventa un argomento divisivo nella politica all’italiana. E così la proposta si incaglia nel porto delle nebbie, quello delle parole mai seguite ai fatti. Se potessimo portare davanti ai luoghi del potere i volti delle donne uccise e gli sguardi interroganti dei loro figli, forse daremmo una scossa a chi deve decidere. Forse. Tutto bisogna fare per uscire da questo incubo.