Stasera la crisi, ma Conte tenta di salvarsi. Il premier vuole sfidare Italia viva in Aula

Consiglio dei ministri sul Recovery alle 21.30. Palazzo Chigi cerca una soluzione rapida ma teme che alla fine Pd e M5S lo scarichino

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Ansa)

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Ansa)

Chi sperava in una via d’uscita facile si è illuso. Perché la prova di forza resta l’ipotesi più probabile: di certo Conte sta preparando una strategia sia di difesa che di attacco. Prima per ostacolare l’eventuale mossa spazza-governo di Renzi, poi per contrattaccare e affrontarlo direttamente. Quest’ultimo passaggio però è al momento ipotetico, una decisione il premier ancora non l’ha presa. Stasera alle 21.30 è convocato il Consiglio dei ministri con il varo della bozza di Recovery Plan all’ordine del giorno. La linea di Palazzo Chigi, come quella del Quirinale e persino del Vaticano, è secca: questa è la sola vera priorità, tutto il resto va rinviato. Pochi però coltivano la speranza che Renzi accetti: l’eventualità più accreditata è che il leader Iv, dopo aver fatto passare la bozza probabilmente con l’astensione delle sue ministre, annunci le dimissioni aprendo così la crisi.

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Conte avrebbe già studiato la contromossa: un nuovo Cdm domani, stavolta per varare lo scostamento di bilancio senza il quale il Paese andrebbe a fondo. Giovedì un terzo Cdm per il decreto ristori, la cui bocciatura affonderebbe molti italiani: "Dobbiamo correre – avverte il premier –. Lavoriamo per costruire, dobbiamo mettercela tutta per offrire risposte ai cittadini". Renzi – ragionano a Palazzo Chigi – non potrà permettersi di aprire la crisi affossando scostamento e dl ristori, i tempi si dilateranno ancora. È possibile che sia davvero così, ma la mossa aggressiva non migliorerà lo stato dei rapporti tra l’inquilino di Palazzo Chigi e il suo predecessore. Dunque le dimissioni, poco importa se oggi, domani o giovedì, arriveranno. Per il Quirinale come per il Pd la strada maestra, se sfumasse come è probabile l’opzione preferita che è quella di evitare la crisi, consiste nel ridurne quanto più possibile tempi e gravità.

Prima che la bozza di Recovery approdi in Parlamento ci sarebbero almeno una decina di giorni nei quali la maggioranza (che per il Pd Bettini non sarebbe "un’eresia" se si allargasse a un pezzo di FI) dovrebbe trovare un’intesa intorno a un terzo governo Conte e poi presentarsi unita dal capo dello Stato per sostenerla. Il premier dovrebbe insomma salire al Colle e rimettere il mandato subito dopo le ministre di Iv, e tutto si risolverebbe in pochi giorni, come molti profetizzano da 48 ore. Le cose però sono molto meno semplici: una volta aperta la crisi, Renzi non avrebbe difficoltà a ostacolare il rientro di Conte a Palazzo Chigi, aggrappandosi ad alcuni temi di merito come il Mes. Fondata o meno che sia la convinzione di Conte, sostenuta dai falchi del giro stretto e dalla lobby politico-giornalistica del Fatto Quotidiano, è che le cose andrebbero proprio così.

Ma la diffidenza del premier non si appunta solo su Iv. In fondo se Pd e M5s si comportassero davvero come promettono di fare, limitando seccamente le alternative alla riconferma di Conte o a elezioni anticipate, il premier avrebbe ben poco da temere. Invece ha paura che una volta aperta la crisi, pur di evitare il voto, proprio quelli che oggi professano il sostegno incrollabile, crollerebbero. Di qui la tentazione tutt’altro che svanita di anticipare i tempi arrivando subito allo showdown in aula in caso di dimissioni della delegazione renziana. Il responso del pallottoliere al Senato è in bilico ma nella sala di guerra di Palazzo Chigi non disperano di strappare comunque una maggioranza relativa e forse chissà persino quella assoluta. Ma anche nel più probabile caso contrario Conte è convinto che uscirebbe dall’ordalia a testa alta, rinsaldando il consenso di cui già gode nell’elettorato di centrosinistra, costringendo così i partiti – Pd incluso – a candidarlo premier in una sfida elettorale che a botta calda, dopo il trauma del ’tradimento’ renziano, potrebbe essere vinta. È lo stesso calcolo che convinse Romano Prodi a sfidare la conta nel 1998. Si sa come andò a finire.