Sorpresa, la politica sa dialogare. Al Meeting un confronto "normale"

Rimini, tutti i leader riuniti insieme: una "conferenza di pace" che mitiga le asprezze del dibattito quotidiano

I leader politici sul palco del Meeting di Rimini

I leader politici sul palco del Meeting di Rimini

Salvini che applaude Letta, Letta che applaude Salvini, perfino Conte che scambia il pugno-Covid con l’ex nemico Salvini in uno dei primi incontri pubblici tra i due dopo il Papeete, e per non farsi mancare niente Giorgia Meloni che sorride sullo sfondo. Pare il miracolo di questa estate italiana, che ha reso "normale" un fatto altrimenti eccezionale per noi così abituati a politici che nei talk si prendono solo a parolacce, ma è solamente il frutto della capacità degli organizzatori del Meeting ciellino di riunire sotto lo stesso tetto gente diversa, e magari anche della volontà delle forze politiche di riannodare il filo di un dialogo che la contingenza della politica e una campagna elettorale alle porte rendono sempre difficile.

Così lo straordinario incontro a Rimini che, per la prima volta da chissà quando schiera insieme tutti i leader di partito, assomiglia a una sorta di conferenza di pace, una Versailles della politica italiana sul lungomare romagnolo. Una tavolata di reduci che si sono combattuti e che, a un certo punto, decidono che forse sarà anche il caso di parlare senza insultarsi. Mancava solo Matteo Renzi, ma quasi nessuno ci ha fatto caso, e chi ci ha fatto caso si è ricordato che in fondo il leader di Italia viva è un one man show e, da buon mattatore, accetta di dividere il palcoscenico solo con ex sindaci di Firenze che abbiamo fatto anche il presidente del Consiglio. Andiamo avanti.

Salvini-Letta, scontro su Lamorgese e Durigon

Così, al di là delle parole, il tableau del Meeting (rivivi qui il live video) introdotto da Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, e moderato dal direttore del QN e de il Resto del Carlino, Michele Brambilla, ha visto come protagonista il dialogo e ha rivelato al popolo ciellino accorso numerosissimo (ma anche a coloro che hanno seguito l’evento sia in streaming sia in diretta tv su SkyTg) che in fondo la politica sa anche trovare la forza di un confronto.

Certo, le differenze restano perché la comune coabitazione sotto le stesse insegne draghiane (Meloni e parte) non annulla le specificità di ognuno, ma almeno si può parlare. In fondo c’è chi vuole dialogare anche con i talebani, si potrà anche discutere con le forze politiche che fanno parte della stessa maggioranza o della stessa coalizione.

Ognuno ha riaffermato le proprie posizioni sui temi di attualità, ma non è stata la sterile recita di enunciazioni preconfezionate. La platea ha accolto tutti con cordialità, anche se il consueto applausometro ha visto prevalere Giorgia Meloni, pur collegata a distanza (l’unica, gli altri erano tutti presenti) seguita da Matteo Salvini e dai padroni di casa Giorgio Vittadini e Maurizio Lupi, ciellino e presidente dell’intergruppo della Solidarietà, e Antoni Tajani.

Accoglienza buona in ogni caso anche per Enrico Letta, che con il Meeting ha avuto sempre rapporti positivi ("Mi avete sempre invitato, anche quando non occupavo posizioni di responsabilità", ha riconosciuto il segretario dem) e in fondo anche per Giuseppe Conte, qui in veste di leader di un movimento che con la galassia ciellina non ha mai mostrato troppa vicinanza.

Poi come era ovvio sono emerse anche le diversità, e in alcuni passaggi anche le asprezze. Ha iniziato Salvini distribuendo fendenti soprattutto al presidente Cinquestelle, con il quale evidentemente c’era qualche conto da regolare. "La politica la deve fare gente preparata non persone sostanzialmente estratte a sorte". Fuori uno. "Il 15 settembre sarò in Sicilia a un processo perché da ministro dell’Interno ho difeso l’Italia". Fuori due. "Il reddito di cittadinanza è stato un grande errore". Fuori tre. "L’Italia è una repubblica in mano ai giudici". Quattro. Sempre guardando in direzione di Conte, che invece distoglieva gli occhi.

Attacchi anche dalla Meloni a Letta ("ora il Pd chiede le preferenze ma in parlamento le votammo solo noi"), di Tajani verso Letta ("inutile parlare di legge contro le delocalizzazioni, chiediamoci perché vanno via: forse troppe tasse, troppa burocrazia"), di Letta verso Meloni e Salvini ("no ambiguità su green pass e vaccini"). Anche questo è ritorno alla "normalità".