Venerdì 19 Aprile 2024

Riforma giustizia, smacco ai pm: la politica può dettare la linea

La riforma dà al Parlamento il potere di indirizzare l’azione penale delle procure. Sconfessate le critiche del Csm e dei 5 Stelle

Alfonso Bonafede, 45 anni, ministro della Giustizia nei due governi Conte

Alfonso Bonafede, 45 anni, ministro della Giustizia nei due governi Conte

"Il caro estinto è la riforma Bonafede, non c’è più. Non si potrà più essere imputati a vita" twitta, non senza buone ragioni, Matteo Renzi, leader di Italia viva. In effetti, la riforma Bonafede è cancellata: in buona sostanza, torna la prescrizione, abolita da Bonafede, e cambiano le fasi del processo penale, che ora saranno a garanzia dell’imputato.

Della riforma Cartabia resta, dunque, quasi tutto, tranne la parte che prevede una corsia speciale per i reati di mafia, terrorismo, violenza sessuale e traffico di droga. Per questi, tempi più lunghi.

Per il resto, invece, la riforma resta perfettamente uguale a quella che la Cartabia aveva presentato. A essere sconfitti, dunque, sono i 5 Stelle, ma anche il Csm, che ha espresso un duro parere contrario alla riforma, soprattutto perché le priorità dell’azione penale, da ora in capo al Parlamento, rappresentano – per lo stesso Csm – "un grave vulnus alla Costituzione". Il Parlamento conferma infatti il suo ruolo di e poteri di indirizzo nell’azione penale. Per il Csm la norma che affida alle Camere i criteri generali di priorità dell’esercizio dell’azione penale – da indicare alle procure – è in "possibile contrasto con l’attuale assetto dei rapporti tra i poteri dello Stato", perché l’individuazione dei reati da perseguire "rispecchierà, inevitabilmente e fisiologicamente, le maggioranze politiche del momento". Un bel colpo, dunque, la riforma Cartabia, anche al Csm e non solo a certa politica.

Ma vediamo gli altri punti cruciali della riforma, su cui non sono mancati distinguo e confronti aspri. La prescrizione si ferma dopo il primo grado di giudizio, sia in caso di assoluzione che di condanna. Ma l’improcedibilità scatta – e qui c’è un ulteriore elemento di mediazione trovato nel cdm – non se il processo non si conclude dopo due anni in Appello e dopo un altro anno in Cassazione, come nel testo iniziale. Infatti, per i primi tre anni di applicazione della riforma, quindi fino al 2024, la durata del processo d’Appello si estende per un ulteriore anno (passando quindi a tre) e quella del processo per Cassazione di ulteriori sei mesi (18 mesi). In ogni caso, il reato non si estingue, si ferma il processo.

Per i reati contro la Pa come corruzione e concussione i termini possono essere allungati di un anno in Appello (fino a tre) e di sei mesi in Cassazione (fino a un anno e mezzo). In pratica, però, i reati dei politici e dei colletti bianchi non finiscono sulla graticola del ‘fine processo mai’. Nessun vincolo, invece, alla durata per i reati imprescrittibili come quelli puniti con l’ergastolo. Sia il pm che l’imputato possono presentare appello sia contro sentenze di condanna che di assoluzione, salvo casi "con motivi specifici". Nelle indagini preliminari, il pm può chiedere il rinvio a giudizio "solo se ha prove per una ragionevole previsione di condanna". Patteggiamento: l’accordo tra imputato e pm si può estendere alle pene accessorie e loro durata. Pene sostitutive: sono irrogabili subito dal giudice fino a 4 anni di pena, evitando il Tribunale di sorveglianza.

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