Giovedì 18 Aprile 2024

Caso Siri, Salvini furioso (ma non stacca la spina)

Il leader leghista prende tempo dopo la scelta di Conte di scaricare il sottosegretario indagato. E attacca: "Hanno esagerato, mi dovranno spiegare"

Armando Siri e Matteo Salvini (ImagoE)

Armando Siri e Matteo Salvini (ImagoE)

Roma, 3 maggio 2019 - Salvini ha una settimana per decidere come rispondere allo schiaffo di Conte e Di Maio. Se dare subito sfogo all’ira gelida che trapelava da Budapest. Oppure fingere di fare buon viso a cattivo gioco, aspettando il momento giusto per gustare una vendetta che quasi tutti oggi tutti nella Lega invocano. "Hanno esagerato", il ritornello che dai vertici rimbalzava fino alla base del Carroccio. Difficile da digerire la scelta di licenziare Siri davanti alle telecamere proprio mentre il ‘Capitano’ sta giocando il suo asso europeo, ovvero l’alleanza con Orbán.

"La devono pagare", sussurrano i duri e puri. C’è chi addirittura propone di disertare la riunione e chi, invece, chiede la conta al consiglio dei ministri, quando il premier proporrà le dimissioni del sottosegretario leghista: "Spero che non succeda ma nel caso abbiamo la maggioranza", chiarisce con una certa brutalità Di Maio. 

In effetti, dal punto di vista della sorte del sottosegretario, non cambierebbe nulla. Ma per la tenuta del governo la differenza sarebbe invece rilevante. Certo Salvini non aprirebbe la crisi su quello che lui stesso definisce "una vicenda locale", che non mette a rischio il governo. Ma dopo quel voto i rapporti nella maggioranza, già deteriorati, diventerebbero in tempi più o meno brevi del tutto irrecuperabili.

Dalle dichiarazioni oscillanti del leader della Lega trapela l’incertezza: perché è vero che lui smentisce la voglia di buttare tutto all’aria, però chiede anche conto al premier (con cui specifica di non aver parlato) del passo appena compiuto: "In un Paese civile non funziona così, lascio a Conte e Siri le loro scelte, a me va bene qualsiasi cosa se me la spiegano". 

Non basta: poi torna sul tema, e rilancia quasi parola per parola l’estrema offerta di mediazione avanzata in zona Cesarini dal sottosegretario (dopo una telefonata con lo stesso Matteo) e liquidata dal vicepremier pentastellato come una ‘furbata’: "I magistrati sono pronti a incontrarlo e dimostrerà la totale estraneità a una vicenda surreale dove due tizi parlavano di lui senza che sia stato fatto nulla". Quindi torna a prendere le distanze dal caso: "Subito la flat tax, tutto il resto è noia". 

Facile intuire i suoi dubbi. Questo scontro si svolge sul terreno più favorevole a M5s, sul quale peraltro sono emersi dubbi anche nei siti leghisti. In ballo non ci sono infatti l’ immigrazione o il taglio delle imposte, ma una vicenda di presunta corruzione che chiama addirittura in causa Cosa Nostra. Il campo migliore che Di Maio potesse sciogliere per affibbiare ai soci quel colpo duro di cui aveva bisogno per ripristinare la propria immagine dopo il voto sulla Diciotti e dimostrare, con i fatti che il Movimento non è affatto succube dell’invadente socio. Ne è consapevole il leader leghista, che – per quanto seccato dall’operazione anche mediatica dei pentastellati – evita per il momento di affondare il colpo. 

Resta in mezzo al guado: deve sciogliere il dilemma se scendere nell’agone a lui meno favorevole oppure accettare una sconfitta che evidentemente gli brucia. Quale che sia la sua scelta, sul governo e sulla maggioranza si sono addensate nere nubi che promettono tempesta: "Fare campagna elettorale sulla pelle delle persone non porta mai bene", sottolinea il capo dei deputati leghista Molinari. Resta solo da vedere quando tutto ciò esploderà.