
Da sinistra, Giorgia Meloni, 48 anni, e Massimiliano Fedriga, 44 anni
La grana più insidiosa per la maggioranza è anche quella meno vistosa: il terzo mandato. Non fa in tempo a risolversi il caso del Veneto che esplode quello del Trentino. Il governo impugna davanti alla Corte costituzionale la legge trentina che aprirebbe la strada a una terza candidatura alla Provincia del presidente leghista Maurizio Fugatti ma il Carroccio si smarca, strappa e vota contro. Anche se prassi vuole che sia il ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli, a proporre l’esame delle impugnative. La premier non drammatizza: "Non si può lasciare che ognuno vada in ordine sparso – spiega in Consiglio dei ministri – Attendiamo la decisione della Consulta, e poi apriamo un ragionamento generale". Pure Matteo Salvini prova a minimizzare: "Si tratta di una questione locale". Lo stesso presidente Fugatti, pur furibondo, è ben attento a non coinvolgere il governo nella bega: "È un atto istituzionale molto pesante contro il Trentino e di chiara valenza politica contro le prerogative della nostra provincia autonoma".
La Corte si è già espressa sul ricorso contro la legge della Campania che avrebbe permesso la ricandidatura di Vincenzo De Luca e cosi ha affossato anche le ambizioni identiche del viceré veneto, Luca Zaia che, per la verità mirava non al terzo ma al quarto mandato. Quella sentenza però non chiude i giochi per quanto riguarda il Trentino e le due province a statuto speciale: al contrario Fugatti, confortato dalla Lega, assicura che la sentenza dà torto al governo: "Le autonomie speciali, come tra le righe hanno detto i giudici costituzionali, hanno potere esclusivo su questa materia". Certo è che il verdetto sulla provincia di Trento si rifletterebbe su tutte le amministrazioni a Statuto speciale, dunque anche sul Friuli Venezia Giulia dove il governatore Massimiliano Fedriga, l’ennesimo leghista alla ricerca della terza ricandidatura, si trova ad un bivio, dopo il colpo di teatro scatenato nel week-end: gli assessori della sua lista, del Carroccio e di Forza Italia hanno restituito le deleghe. Ovvero sono disponibili a dimettersi, se non si risolve la crisi con Fratelli d’Italia.
Ufficialmente, la lite è esplosa per un’intervista del ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, che ha criticato la gestione dell’ospedale di Pordenone inaugurato a dicembre. Ma ai più appare chiaro che a innescare la miccia è stata la voglia di ricandidarsi per la terza volta di Fugatti: non avendo raggiunto la metà del secondo mandato, mollando ora, potrebbe ricandidarsi senza bisogno di modificare la legge regionale. Ma solo se sfiduciato: "Non si computa come mandato quello che ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno per causa diversa dalle dimissioni volontarie o dalla rimozione", recita l’articolo 21 della legge trentina. Per decidere il da farsi, Fedriga avrebbe voluto un confronto immediato con la premier che però si è sottratta. Per evitare un giro in Veneto, dove è in corso il festival delle Regioni, ha fatto sapere di avere una forte influenza. Il colloquio con il governatore del Friuli è rinviato a giovedì. In questo quadro, s’insinua l’opposizione: strilla che quando un vicepremier vota contro una decisione del governo la crisi dovrebbe essere automatica. Non ci sarà nessuna crisi: nessuno vuole l’incidente. E lo stesso Consiglio dei ministri che con una mano ha bastonato la Lega sul terzo mandato, con l’altra le ha portato un regalo: ha approvato il disegno di legge delega sui Lep, passaggio obbligato per la definizione dell’Autonomia differenziata. Anche i Lep però sono un terreno minato: il capo dello Stato ha fatto capire ieri che intende vigilare, a partire dal nodo della riforma, la Sanità. "Serve una leale collaborazione tra Stato e Regioni – dice Sergio Mattarella- sono intollerabili divari tra i diversi sistemi locali". Autonomia sì, ma nei limiti della Costituzione.
Insomma, la definizione dei Lep non sarà una passeggiata, Trentino e Friuli sono casi aperti, ma nemmeno quella del Veneto è una pratica chiusa, dal momento che Zaia vuole un candidato leghista, cioè un suo uomo. Il vero guaio con la Lega è questo: le regioni e il potere locale.