Sabato 19 Luglio 2025
BENEDETTA SALSI
Politica

Salta il Polo della Moda. Max Mara si tira indietro. Ed è scontro col sindaco

Il gruppo Maramotti ha "irrevocabilmente cancellato" il progetto da 110 milioni. Polemica con Massari, primo cittadino di Reggio Emilia. E il centrodestra attacca. Il caos dopo le denunce di alcune lavoratrici per le condizioni in fabbrica.

La protesta delle lavoratrici della Manifattura San Maurizio a Reggio Emilia

La protesta delle lavoratrici della Manifattura San Maurizio a Reggio Emilia

La gente del fare, operosa e silenziosa, non è abituata. E così in città non si parla d’altro, tra occhi sbarrati e gesti di incredulità. A memoria d’uomo non s’era visto uno scontro così violento fra il maggiore imprenditore cittadino e l’amministrazione comunale, da sempre tacitamente accomunati da un dualismo di intenti e investimenti che negli ultimi 75 anni ha saputo intessere l’economia reggiana.

Così, quel fulmine a ciel sereno che lunedì pomeriggio si è abbattuto sulla città di Reggio Emilia sembra destinato a diventare epocale, con Luigi Maramotti – erede, assieme a fratello e sorella, dell’impero di Max Mara – che ha improvvisamente e "irrevocabilmente cancellato" il ’Polo della Moda’, dopo un anno e mezzo di tecnici comunali al lavoro e annunci ufficiali, con una semplice mail inviata al primo cittadino Marco Massari nel giorno della scadenza per il rogito: non se ne fa nulla. Sindaco e giunta si dicono "sgomenti" di fronte a una decisione unilaterale che ha spazzato via un progetto presentato in conferenza stampa un mese fa, con tanto di rendering, destinato a cambiare il volto dell’area delle ex fiere, oggi abbandonata, a metà strada fra la stazione Mediopadana e il quartier generale del colosso del made in Italy. Un investimento privato da 110 milioni di euro, che avrebbe portato alla piantumazione di duemila alberi, trasformando l’area in un distretto del fashion con mille lavoratori (e circa 300 nuove assunzioni annunciate). Il presidente del gruppo si è invece smarcato stigmatizzando il "clima di strumentalizzazione" che si sarebbe creato, tale da rendere impossibile la prosecuzione di un piano di sviluppo considerato strategico per la città e il ruolo del sindaco nella vicenda. "Nonostante l’impegno profuso, dobbiamo prendere atto delle perplessità e delle divisioni emerse", dice.

La pietra dello scandalo sarebbe stata il consiglio comunale del 23 giugno scorso, durante il quale il dibattito si sarebbe concentrato non sui meriti urbanistici ed economici del progetto, ma sulle relazioni industriali interne al gruppo Max Mara, dopo le denunce delle lavoratrici della Manifattura San Maurizio (ricevute anche da Massari) sulle condizioni di lavoro definite "inumane e degradanti". Dichiarazioni che a fine maggio erano salite alla ribalta delle cronache nazionali ("siamo pagate a cottimo, cronometrate al bagno e definite mucche da mungere"), arrivate mentre alcune operaie avevano indetto uno storico sciopero con la Cgil. Rivendicazioni finite al centro di interrogazioni parlamentari e sfociate in una visita dell’ispettorato del lavoro, che aveva poi rilevato "situazioni problematiche all’interno del contesto aziendale". Narrazione rigettata però dall’azienda, che in una nota, ha rimarcato con forza: "Mettiamo sempre al centro i lavoratori. Smentiamo le accuse infondate in merito alle condizioni di lavoro, per rispetto della verità e a tutela delle persone che ogni giorno, da quasi 75 anni, lavorano per la reputazione e il prestigio del gruppo".

E anche Massari, sotto il fuoco di fila delle opposizioni, non ci sta: "Io sono il sindaco di tutti. Non ho nulla da rimproverarmi e speriamo di poter riaprire il dialogo". Ma non basta. Il risultato oggi è una città attonita, che spera di svegliarsi dall’incubo, mentre a fare rumore sono le reazioni politiche: in Parlamento, con Avs che parla di "vendetta dei padroni"; la destra, con FdI che chiede le dimissioni del sindaco, tuonandone l’"incapacità politica e relazionale" e con il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, che si scaglia contro "la sinistra da sempre di ostacolo allo sviluppo delle imprese locali"; mentre il Pd cerca di metterci una pezza, leggendoci un "normale esercizio del dibattito democratico".