Roberto Giachetti, chi è il candidato alle primarie Pd (allievo di Pannella)

La pensa suppergiù allo stesso modo di Renzi su tutto, ma in special modo su economia e diritti civili. E' stato capo di gabinetto di Rutelli quando era sindaco di Roma

Roberto Giachetti (Ansa)

Roberto Giachetti (Ansa)

Roma, 27 febbraio 2019 - Magro, magrissimo, eterno sorriso e quella barba un po’ così. Manca solo la sciarpa della Roma (la "maggica") e la foto può essere scattata. Ma sarebbe non diciamo falsa, però imprecisa. Sì, perché lui, Roberto detto Bobo Giachetti in realtà è un politico tutto politico. Certo, ha un altissimo concetto dell’amicizia. Certo, se provi a interrompere la visione dell’amata Roma manco ti risponde. Certo, quando si mette in testa una cosa non c’è verso di fargli cambiare idea. Ma tutto questo è secondario rispetto alla politica. Davvero tutto è politica in lui.

Lo stile è noto, deriva dal suo vero maestro, Marco Pannella, il leader radicale che ha lasciato l’Italia assai più sola sui diritti civili. E se di formazioni politiche Bobo ne ha passate diverse (dai Verdi alla Margherita, dai Democratici dell’asinello al Pd), in realtà il suo essere radicale spiega meglio di mille dichiarazioni la storia di questo cinquattottenne. Il buon umore non gli manca e poi il bello è che non porta rancore. Però, se si arrabbia...

A lui tutti si rivolgono – compresi noi giornalisti – per la capacità che ha di acchiappare (e anche lì si sente la scuola radicale) tutti i regolamenti e piegarli perfettamente alla vita politica di ogni giorno. Iscritto al Partito radicale transnazionale e transpartito (quindi con i Radicali italiani di Riccardo Magi e di Emma Bonino i rapporti sono un po’ freddini), Bobo non fa storie quando lo intervisti. O è un "Sì" netto, oppure un garbato e sereno "No, ma ti ringrazio". Non rilegge le sue parole, ma se lo costringi ti piglia in giro.

Candidato dalle parti di Firenze, una volta un cronista gli mise in bocca la parola ‘pochino’. Le risate di Bobo si sentono ancora: "Io so’ ‘pochetto’, no pochino...". Una romanità spontanea. La Città Eterna la ama non solo per un fatto letterario (pare, ma secondo noi è una leggenda, che conosca a memoria i versi del Belli), ma perché la conosce. Del resto, con Paolo Gentiloni e sotto la guida del mitico Francesco Rutelli di cui era capo di gabinetto, Bobo Roma l’ha governata e, a detta dei più, anche bene, se non benissimo.

Ora s’è messo in testa di guidare il Pd. Eroico come Zingaretti e Martina, va bene. E però la sua corsa è singolare. Lo definiscono, infatti, renziano di ferro. Balle. È Renzi che è giachettiano. La pensano suppergiù allo stesso modo su tutto, ma in special modo su economia (liberismo temperato, diciamo) e diritti civili. Bobo, infatti, ha una spiccato senso della libera impresa, ma vai a capire se ci capisce per davvero, e per i diritti di tutti, maggioranze e minoranze.

Il suo punto debole? Forse il voler essere leader di un partito che, di riffa o di raffa, è pur sempre una fusione a freddo di apparati ex Pci ed ex Dc. Ci fosse qualche socialista, magari andava meglio. Che, volente o nolente, sul giustizialismo di certa magistratura lo stesso Pd balbetta. Che il rivendicare l’azione del governo-Renzi non è molto popolare in questo periodo di ruspe e decreti-dignità.

Vada come vada, comunque, Bobo il suo colpo lo ha già piazzato arrivando terzo in queste astruse primarie battendo quel Francesco Boccia perfetto conoscitore della macchina dem. Poi, il destino vede e provvede. Ma liberare ‘lacci e lacciuoli’ dell’economia o garantire i (sacrosanti) diritti dei migranti temiamo sia impresa non vincente, almeno all’apparenza. Però, mai dire mai: da un romano doc tutto ti puoi aspettare. Anche un miracolo. E parlar di miracoli con un radicale è affar serio, non trovate?