Rimborsi 5 stelle e i rischi del moralismo

A proposito del Movimento 5 Stelle, la frase più citata in questi giorni da politici e osservatori è quella di Pietro Nenni. "A forza di gareggiare a fare i puri, trovi sempre qualcuno più puro di te che ti epura". Cinico ma geniale. E l’accostamento con la realtà attuale e gli scandali di questi giorni in casa grillina un certo fondamento ce l’ha. Almeno a guardare la storia, quella recente italiana, galleria di personaggi o movimenti nati sull’onda mediatica dell’arrabbiatura anticasta, anti-apparato, e poi finiti travolti dallo stesso fiume che essi avevano alimentato a ingrossare.

Nessuno sa se la "rimborsopoli cinquestelle" finirà per avere su Di Maio e compagnia lo stesso effetto che l’indagine Belsito/diamanti ebbe sulla Lega di Bossi o la famosa puntata di Report per Tonino Di Pietro. Chissà, può anche darsi che lo scandalo attuale produca sui grillini lo stesso effetto, inesistente, che in passato hanno sortito le gaffe romane della sindaca Virginia Raggi, inaffondata nonostante le polizze vita e i pasticci della giunta. Può darsi. Come potrebbe invece accadere che magicamente, senza alcun segno premonitore, il conto venga presentato tutto insieme, in forma di una sonora ridimensionata elettorale rispetto al confortante andamento dei sondaggi fino alla settimana scorsa. Fatto sta che quando si fa del moralismo l’asse portante del proprio programma di governo, è inevitabile che prima o poi l’incidente avvenga.

Non tanto perché la politica debba o possa essere al di sopra della morale, quanto perché al primo cedimento anche di una piccola rotella (e nel caso dei Cinquestelle non si tratta certo di torelle secondarie) l’ingranaggio narrativo si blocca. L’ammontare dell’importo non versato al famoso fondo per il microcredito a suscitare indignazione generale conta poco, ciò che è importante sono i dubbi sulla credibilità di una nuova classe dirigente. Che rispetto alle precedenti si presentava e chiedeva fiducia non tanto per una competenza acquisita (anzi, spesso veniva esibita proprio la non competenza), quanto quasi esclusivamente per la propria "diversità morale". Finita quella finito tutto. L’esempio più prossimo nel tempo era stato quello di Antonio Di Pietro e dell’Italia dei Valori. Anche quello era un partito personale nato sull’onda del giustizialismo purificatore post-Mani Pulite, di cui l’ex pm era il simbolo vivente. Fu una puntata di Report, la trasmissione tv di Milena Gabanelli, a mandare in tilt il racconto dipietrista. Era l’ottobre 2012. Alle domande della giornalista sui fondi dell’IdV, sull’utilizzo dei rimborsi elettorali e sugli alloggi Di Pietro si fa trovare impreparato. Il polverone mediatico si alza impietoso e non si arresta, ben oltre i “problemi“ e le “accuse“ evidenziate nella puntata stessa. Ma la frittata era scodellata, e infatti l’Italia dei valori quel giorno morì. Una morte improvvisa. Fino a poco prima andava bene nei sondaggi, ma proprio in quel periodo era sorta l’onda montante grillina, i nuovi puri che epurarono il puro. L’indignazione generale ama la novità. La storia si ripeteva. Chissà che non accada ancora stavolta.