Mercoledì 24 Aprile 2024

Riforme governo Meloni, Violante: "Sì a una democrazia che decide"

L’ex presidente della Camera: "L'opposizione deve sedersi al tavolo. Il presidenzialismo è un’opzione, ma realizzarlo è complicato"

Roma, 27 ottobre 2022 - Luciano Violante, 81 anni, è stato magistrato e presidente della Camera con il Pd e da sempre uno degli uomini di punta della sinistra sul fronte delle riforme istituzionali.

Presidente Violante, Giorgia Meloni apre una stagione di riforme costituzionali, con il presidenzialismo in agenda. L’opposizione deve sedersi al tavolo o rifiutare l’invito? "Ma certo che bisogna sedersi. Bisogna sempre accettare il confronto".

Eppure, sono già arrivati no preventivi alla sola idea di toccare la Costituzione? "I pregiudizi sono sempre sbagliati. Occorre sempre giudicare sulla base dei comportamenti e del merito. Dall’altra parte, capisco che un governo nuovo abbia l’ambizione di essere presente subito campi particolarmente qualificanti; ma io non mi farei prendere dall’ansia. Si può discutere senza l’ansia di dover produrre qualcosa di immediato. Concentriamoci sulle cose che si possono fare rapidamente e che possono essere efficaci mentre in parallelo si ragiona su quelle più complesse".

Il nodo è quello della "democrazia decidente". "È necessario un riassetto di alcune parti del sistema costituzionale. Quello attuale risponde a una società semplice, lenta e fortemente nazionale. Oggi le società sono complesse, veloci e interdipendenti. Le democrazie devono adeguarsi allo statuto socio-culturale della società nella quale operano. D’altra parte, sono contento che si parli di democrazia decidente".

Perché? "Perché rievoca un mio argomento più volte affrontato nella mia vita politica: la riforma del Regolamento della Camera del 1997, per esempio, era improntata, come dissi allora, a una democrazia decidente, a una democrazia che non si limita a rappresentare, ma rappresenta per decidere, non per confliggere".

A questo fine, Meloni parte dal presidenzialismo e dal semi-presidenzialismo. "È una possibilità, ma non si tratta solo di passare all’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Si tratta di modificare profondamente anche Corte costituzionale, il Csm, il rapporto Stato-Regioni, il rapporto Parlamento-governo. Insomma, devono essere corrette a cascata una serie di regole e di relazioni tra organi costituzionali. Un Presidente eletto direttamente, per esempio, non è un organo di garanzia, ma di maggioranza, con quello che consegue".

Non le sembra, dunque, la soluzione preferibile. "La bacchetta magica non c’è. Costruire il presidenzialismo o il semi-presidenzialismo non è impossibile, ma è complicato. In secondo luogo, come si è visto soprattutto con gli ultimi presidenti, negli Stati Uniti la formula non risolve la crisi della governabilità rispetto al Congresso. In Francia, Macron non ha una maggioranza e governa appoggiandosi via via ai volenterosi che lo sostengono. Il che non significa che non si possano studiare pro e i contro di un presidenzialismo italiano".

In che senso? "Nel senso che suggerirei di studiare quale forma delle due possa essere adatta all’Italia, tenendo presente che più le società sono complesse e conflittuali, più i presidenzialismi si rivelano inadeguati perché privi di arbitri risolutori dei conflitti. Nel frattempo, si possono fare significative innovazioni per stabilizzare il governo".

Quali introdurrebbe? "Penso alla sfiducia costruttiva, al voto a Camere riunite per le leggi di Bilancio e per la fiducia, al potere di revoca dei ministri in capo al premier. Si tratta di innovazioni semplici che non richiedono vaste modifiche. Potrebbero essere particolarmente utili in questa stagione: il risultato elettorale è stato netto, ma al Senato la maggioranza deve fare i conti con sei senatori ministri, con il presidente del Senato che non vota, con il presidente Berlusconi che forse non sarà presente a tutte le votazioni, senza considerare i presidenti di commissione, i questori".

L’elezione diretta del premier non sarebbe più efficace? "Non mi convince perché se eleggessimo direttamente il presidente del Consiglio e lasciassimo il presidente della Repubblica feletto dal Parlamento, il premier avrebbe una legittimazione maggiore. È uno squilibrio grave; in Israele hanno abbandonato questo schema".

In definitiva, a quale criterio ci si dovrebbe ispirare per capire la strada più adeguata? "Quello che è sbagliato è importare sistemi di altri Paesi. Bisogna cercare, invece, la forma di democrazia che si adatti meglio allo specifico Paese e alle condizioni politico-culturali della fase storica. Allo stesso tempo io distinguerei i vizi della democrazia, i vizi della politica e vizi del sistema costituzionale perché la prima può degenerare in demagogia, la seconda in abuso del potere, e il terzo in paralisi decisionale. E, dunque, dobbiamo sempre individuare il campo al quale appartengono i difetti, perché a volte scambiamo i vizi della politica con i vizi del sistema costituzionale o addirittura con i vizi della democrazia".