Giovedì 18 Aprile 2024

Ribaltone in Rai: "Rossi al posto di Fuortes". La destra fa spazio ai suoi

Il governo studia la nuova squadra della tv, pronta anche una legge per un mandato lungo. Al Tg1 presto potrebbe approdare Gian Marco Chiocci (ora direttore di Adnkronos)

Roma, 13 febbraio 2023 - L’ironia con cui Fiorello ha voluto commentare in diretta l’ultimo caso Fedez esploso nella serata finale sul palco dell’Ariston ("domani a casa tutti i vertici Rai") ha – come sempre – un suo lato di verità. Fratelli d’Italia, con in testa proprio la premier Meloni che ieri ha lasciato trapelare tutto il suo disappunto ("Sembra che al governo ci sia la Boldrini", il commento che gira dentro Fratelli d’Italia) per come si sono andate le cose a Sanremo, sono decisi a cambiare tutte le persone che oggi, stando su una poltrona di snodo decisionale della tv pubblica, hanno contribuito a costruire una narrazione del Paese che si è rivelata contraria alla proposta culturale che il governo, invece, vorrebbe proporre.

L'amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, con il direttore artistico Amadeus
L'amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, con il direttore artistico Amadeus

Da Sanremo, insomma, è partita la nuova guerra santa del centrodestra contro la tv pubblica che sempre la premier Meloni, al momento del suo insediamento a Palazzo Chigi, aveva invece giurato di voler tenere a distanza anche se il suo partito, FdI, all’opposizione del precedente governo Draghi che ha nominato l’attuale cda di viale Mazzini, non era riuscito a far eleggere nessun esponente di area nel board della tv pubblica.

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Ma adesso è il momento della resa dei conti. Giampaolo Rossi, storico uomo del partito di via della Scrofa nei piani alti della Rai, già è indicato come possibile nuovo direttore generale, se non addirittura amministratore delegato al posto di quel Carlo Fuortes, voluto da Draghi, che – per esempio – ha svolto un ruolo chiave per l’ospitata di Mattarella all’Ariston, presenza dai più letta come un messaggio chiaro contro le riforme (autonomia impositiva e presidenzialismo) che la premier, invece, vorrebbe rappresentassero la cifra del suo mandato politico a Palazzo Chigi.

Ma un conto – come sempre quando si parla di Rai – è il dire, il polemizzare, il minacciare. Un conto è il fare. La sostituzione dell’amministratore delegato e direttore generale (sempre Fuortes, appunto) è tutt’altro che semplice. Il suo possibile successore, per la legge sul rinnovo dei vertici, avrebbe infatti davanti a sé un mandato di poco più di un anno, troppo poco tempo per imprimere quel cambio di rotta tanto atteso dalle destre. Per questo, gli uomini della Meloni sono già al lavoro per cercare di cambiare la legge, grazie anche al supporto granitico degli alleati (Lega e FI) sul tema permettendo così ai successori di ricominciare con davanti un mandato pieno di quattro anni. Era già pronto, in questo senso, un emendamento da inserire nel decreto Milleproroghe, ora in discussione in Senato, ma alla fine è stato stoppato per evitare polemiche e scontri prima delle Regionali e di Sanremo. Ora però, con il Festival alle spalle, la voglia di superare questo ostacolo e mettere mano alla governance della Rai è praticamente incontenibile.

Tanto che – si dice a via della Scrofa – si parla di un decreto ad hoc da presentare addirittura nel prossimo consiglio dei ministri. "Bisogna fare veloci – si sostiene in area di governo – perché più quelli restano dove sono e più la situazione sarà difficile da recuperare". Nel mirino, oltre ovviamente a tutto il settimo piano di viale Mazzini, ci sono soprattutto le poltrone dei direttori di rete e di testata, da quello dell’intrattenimento – dove siede ora Stefano Coletta – dove potrebbe arrivare Angelo Mellone, a quello delle testate, con il Tg1 che presto potrebbe vedere arrivare Gian Marco Chiocci (ex direttore del Tempo e oggi alla guida dell’Adnkronos). Insomma, le persone con cui cambiare la narrazione culturale del Paese, spostandola a destra, in Rai non mancano.

C’è di più. Cambiando i vertici e rimettendo mano ai regolamenti, si sbloccherebbe anche la formazione della nuova commissione di Vigilanza Rai, necessaria per la sostituzione ma fino a oggi rimasta inespressa da inizio legislatura. La presidenza della commissione spetta infatti a un esponente dell’opposizione, "e non potevamo rischiare di avere una Vigilanza Rai e, al tempo stesso, i vertici di viale Mazzini entrambi marchiati dalla sinistra", ragionava l’altro giorno un membro della maggioranza, sottolineando che l’idea è quella di rivedere la legge sulla nomina del cda sdoppiando la carica di ad e di direttore generale, così da avere gioco più facile nel soddisfare gli appetiti interni alla maggioranza che – soprattutto nel caso della lega – non hanno alcuna intenzione di restare a guardare la rivoluzione di Giorgia senza toccare palla.