Martedì 16 Aprile 2024

Referendum Veneto, sogno secessione. Ma sul quorum è rischio Caporetto

Zaia: comunque non lascio. E punta a prendersi 23 competenze statali Referendum Lombardia, la scommessa di Maroni

Luca Zaia, presidente della Regione Veneto (Ansa)

Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia sul palco del tradizione raduno della Lega Nord a Pontida (Bergamo), 17 settembre 2017. ANSA/ PAOLO MAGNI

Venezia, 22 ottobre 2017 - Dicembre 1979. Nei locali del Centro Bertrand Russell a Padova si insegna la 'lengua veneta'. Ma la riscoperta della sintassi e della grammatica si accompagna a un’idea politica che tradotta in slogan diventa 'el Veneto ai veneti'. La Liga, tenuta a battesimo in quelle sale, si mangia in un boccone ciò che resta della Dc e del Pentapartito post Tangentopoli e va al suo primo congresso. Il programma: «Basta con il colonialismo italiano, nel Veneto scuola, amministrazione pubblica, giustizia, polizia e informazione devono essere affidati ai veneti». Trentino Alto Adige e Friuli sono i modelli di autonomia cui ispirarsi. Luca Zaia all’epoca ha 11 anni e gioca con i soldatini.

Ottobre 2017. Quasi quarant’anni dopo Zaia è il governatore leghista del Veneto e ha deciso di ripartire da quel Veneto ai veneti. Il referendum consultivo sull’autonomia l’ha voluto a tutti i costi, così come vuole appropriarsi di 23 competenze ora statali, dall’ambiente alla salute all’istruzione. Difesa, ordine pubblico e giustizia li lascerebbe allo Stato. Tenendosi i schei che ora finiscono a Roma, il governatore è sicuro di poter assicurare un tenore di vita anche migliore ai suoi governati. Il tracollo delle banche venete, la rovina del paesaggio veneto? Non è roba da campagna elettorale.

Per dargli ragione, bisogna che 2 milioni e 50mila veneti si presentino alle urne, la metà più uno degli elettori, salvando il quorum fissato dalla legge regionale. Altrimenti sarà una Caporetto per ogni spirito autonomista. Accantonate a parole le aspirazioni secessioniste del Veneto, Zaia, benché abbia negato le dimissioni in caso di mancato quorum, si gioca tutto sventolando le bandiere dell’autonomia differenziata e del federalismo, previsti dall’articolo 116 della Costituzione. Per questo ha arruolato nomi di vaglia come Matteo Zoppas, Arrigo Cipriani, Francesco Guidolin e perfino il cardinale di Venezia Francesco Moraglia («autonomia non significa separazione»). Ma sul fronte opposto, si trovano gli industriali Luciano Benetton («il referendum è una stupidaggine») e Matteo Marzotto, lo scrittore Massimo Carlotto. Il Pd è spaccato tra sì e ni, Forza Italia è tiepida, spaccati anche i 5 Stelle. Ancora poche ore e si saprà se l’appello di Zaia («è l’ora del riscatto per i veneti») ha fatto breccia tra le Dolomiti e il Po. E se le rassicurazioni di Salvini («non è la nostra Brexit») hanno tranquillizzato i veneti taliani. 

Ai gazebo della Liga, tra lo sventolio del vessillo della Serenissima, i militanti non nascondono altri sentimenti: «Cominciamo con l’autonomia, poi sarà secessione. All’inizio mejo esere morbidi». Antonio Guadagnini di ‘Siamo Veneto’ sente «l’irresistible profuno della libertà». Alessio Morosin di ‘Indipendenza veneta’ dice che il referendum è «un allenamento per la secessione». Ed è il groviglio di sentimenti che Zaia dovrà gestire nella trattativa con il governo, dopo il voto popolare. Quorum o no. Quella stessa trattativa che il governatore Pd dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, ha appena concordato con Roma, come previsto dalla Costituzione. E senza spendere i 14 milioni che Zaia farà sborsare ai veneti.