Referendum 2020, orari e come votano i partiti. Cosa cambia se vince il Sì

Niente quorum, vince chi prende più consensi

Fac simile della scheda elettorale per il referendum (Ansa)

Fac simile della scheda elettorale per il referendum (Ansa)

Roma, 18 settembre 2020 - Il 20 e 21 settembre si voterà (dalle 7 alle 23 di domenica e dalle 7 alle 15 di lunedì) il referendum costituzionale per il taglio dei parlamentari. Il referendum è stato indetto per approvare o respingere la legge di revisione costituzionale intitolata “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”.

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Niente Quorum

Non ci sarà bisogno di quorum. In sostanza, vince chi prende più consensi a prescindere dal numero dei votanti. Si tratta del IV referendum confermativo nella storia dell’Italia repubblicana. Il testo della legge, approvato definitivamente dalla Camera l’8 ottobre 2019, prevede il taglio del 36,5% dei componenti di entrambi i rami del Parlamento.

Sì o No, cosa succede

In caso di vittoria del Sì si passerebbe da 630 a 400 seggi alla Camera dei deputati e da 315 a 200 seggi elettivi al Senato. La consultazione referendaria era prevista per il 29 marzo scorso. Ma è stato tutto rinviato al 20 e 21 settembre a causa della pandemia da Covid-19.

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Gli schieramenti dei partiti

Le posizioni dei partiti non sono univoche. L’ufficialità, spesso, non corrisponde alla realtà e alle sensibilità del proprio gruppo e dei propri elettori/militanti. Ma vediamo nel dettaglio.

Movimento 5 Stelle. Il gruppo politico che, di fatto, ha voluto questa legge in nome dell’”anticasta” e di un mai completamente sopito antiparlamentarismo populista è ovviamente per il Sì. Ma anche tra i pentastellati c’è chi dice No. Esemplare il caso della deputata Elisa Siragusa che ha dichiarato: “Ridurre la rappresentanza parlamentare per risparmiare un caffè all’anno non ha senso. Sull’efficienza non si capisce la ratio. Per migliorare l’efficienza bisognerebbe rivedere per prima cosa i regolamenti di funzionamento delle Camere”. Anche altri grillini di minor peso hanno espresso dubbi e perplessità.

Pd. Il leader Nicola Zingaretti ha ufficialmente schierato il partito per il Sì. Ma si è dovuto barcamenare mostrando molti imbarazzati silenzi per i numerosi malumori della periferia e per il No forte e chiaro di esponenti come Gianni Cuperlo o Matteo Orfini. Inoltre, i troppi silenzi e la mancata riforma della legge elettorale mettono il gruppo dirigente dem in evidente difficoltà.

Lega. Il leader leghista Matteo Salvini ha detto che il Carroccio è schierato per il Sì, ma, dietro le quinte, tutti sanno che la riforma è poco digeribile per un partito che fa del radicamento sul territorio uno dei suoi punti di forza.

Fratelli d’Italia. Un Sì deciso che non pare aver tentennamenti di sorta. Giorgia Meloni deve però, anche lei anche se in misura infinitamente minore rispetto agli altri partiti, con le perplessità della periferia.

Italia Viva. Il gruppo renziano lascia libertà di voto, anche se, in fondo, è per il No.

Forza Italia. Partito spaccato sin dall’inizio. La ‘rivolta’ contro il (guidata da molti esponenti di primo piano) è stata certificata dai dubbi espressi senza remore dallo stesso Silvio Berlusconi che ha detto chiaramente come una vittoria dei favorevoli alla riduzione dei parlamentari non migliorerebbe il quadro generale. Anzi.

Gli altri. Emma Bonino e + Europa per il no, così come (a esclusione di Bersani) la sinistra-sinistra come Articolo 1 e Rifondazione comunista nonché i socialisti di Riccardo Nencini