Quirinale, partita a carte coperte. Il nome 'vero' è sempre nascosto

Nelle precedenti elezioni fino a due giorni prima del voto decisivo nessuno aveva citato i vincenti. Mattarella e Napolitano ignorati dai borsini, Ciampi era solo uno tra i tanti, Scalfaro sopresa assoluta

I vecchi titoli dei giornali

I vecchi titoli dei giornali

La vita, si sa, è una questione di tempi, e la corsa al Quirinale non fa eccezione. Come al palio di Siena, dove più che la forza o il coraggio conta il momento i cui si scatta. Se parti troppo presto sbatti nel canape, e spesso vince il fantino che entra di rincorsa, quello che capisce quando la mossa buona sta per essere data e si butta. Il momento giusto. Così è per il Colle, il grande gioco della politica italiana dove i giochi si fanno solo all’ultimo. I giornalisti si esercitano per mesi in previsioni, compilano laboriosissimi "borsini", già adesso c’è chi sale e chi scende, ma poi se vai a vedere quanto accaduto nelle altre occasioni, anche le più recenti, ti accorgi che i nomi "veri", quelli che poi alla fine hanno vinto la gara, non erano usciti se non all’ultimo tuffo.

Raffinate strategie di chi sceglie di restare nell’ombra? Rischiosissimi sudoku istituzionali? Inevitabile risultato di scelte che premiano le secondo file, in campo quando i "big" si sono già elusi a vicenda? Un po’ di tutto questo. Sempre che esista una strategia (il che presuppone l’esistenza di uno stratega, e non è sempre così), e invece non si accetti l’idea che sia il caso o il caos a muovere le sue pedine secondo schemi solo a lui noti.

In ogni modo quasi sempre il gioco vero si è fatto negli ultimi due o tre giorni, e le tappe di avvicinamento sono al massimo assimilabili al riscaldamento che fanno gli atleti prima di una partita. Quando poi l’arbitro fischia, le musica cambia.

Prendiamo i ritagli dei giornali dell’ultima elezione, quella del 2015. Sergio Mattarella aveva ricevuto più di un voto nel 2013, ma di lui nei totonomi del 2015 non si parlava. Ballavano l’eterno Amato, l’allora in auge Finocchiaro, il sempreverde Prodi, e poi come carta verso il nuovo ecco spuntare Veltroni. Anche lui già nei borsini del 2013. Tutti, meno Mattarella, il cui nome spuntò proprio sul filo di lana. Stesso scenario nel 2006, all’apoca del Napolitano1, quando fino a pochissimi giorni dell’elezione nessuno parlava di colui che in quel momento era un "semplice" senatore a vita, un tranquillo signore che tutte la mattine andava a passeggiare con la moglie a Villa Borghese. In quei giorni erano D’Alema, Marini, Prodi, lo stesso Amato a disputarsi la partita. Napolitano uscì a un metro dal traguardo.

Ancora più a sopresa, per restare alle elezioni degli ultimi trent’anni, il nome di Scalfaro, nonostante il "vecchio" esponente Dc fosse presidente della Camera e quindi naturalmente ascritto all’elenco dei papabili. Quando il 23 maggio del 1992 la strage di Capaci impresse un’accelerata decisiva alla politica che da giorni non riusciva a togliere un ragno dal buco nella partita del Quirinale, e si optò per una "soluzione istituzionale", gli occhi di tutti, e dei giornali, andarono sul presidente del Senato Giovanni Spadolini. Scalfaro stava seduto lì accanto e di lui non si era accorto nessuno. Un giorno dopo era presidente.