
Prove di centrodestra. Von der Leyen a Roma. Gelo con Forza Italia:: "Presenza non prevista"
La festa c’è, l’ospite d’onore invece no. Alla manifestazione che inaugura la campagna elettorale di Forza Italia, ala italiana del Ppe, manca appunto la candidata alla presidenza della Commissione europea dei popolari. Eppure, Ursula von der Leyen ieri era a Roma e tutti, proprio tutti, davano fino all’ultimo per scontata la sua partecipazione anche perché cosa stesse a fare altrimenti nella capitale non è chiaro. Ha pranzato con il leader azzurro Antonio Tajani, ha incontrato i giovani di Forza Italia alla fondazione De Gasperi, ha parlato con i presidenti di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, e di Coldiretti, Ettore Prandini. Un po’ pochino per giustificare la tappa romana del euro-tour che sta facendo. Dal quartier generale azzurro si affannano a smentire e minimizzare: "Ma cosa dite? La sua partecipazione non era prevista, aveva pochissimo tempo, doveva andare via presto per volare in Danimarca". Ma allora come mai Antonio Tajani – pur assicurando "con Ursula le cose vanno sempre bene" – nel suo intervento al Salone delle fontane dell’Eur non ha proprio nominato la candidata? Se ne sarà scordato perché sazio del pranzo con la medesima? Chiaramente una giustificazione diplomatica. La realtà è più spinosa. "Non era il caso di esporre troppo la presidente candidata a succedere a se stessa", ammettono a mezza bocca i forzisti più sinceri.
Insomma, von der Leyen, poco amata e apprezzata dagli italiani, rischiava di fare più danno che altro. Ma anche questa, probabilmente, se non una scusa, è almeno una verità parziale. Nei fatti, l’ostacolo principale sulla strada di Ursula è proprio il Partito popolare. Si era visto subito, quando i voti a favore della sua candidatura nel Ppe erano stati 400 e 89 contro, ed è stato confermato ieri. Del resto, alla vigilia della kermesse azzurra Licia Ronzulli era stata esplicita: "È un cavallo azzoppato". Ventiquattro ore dopo la presidente dei senatori forzisti ha chiarito: "Ho solo fatto una fotografia dell’esistente, mi pare difficile che il Consiglio trovi l’unanimità sul suo nome". Giorgio Mulè è appena più soft: "L’opinione di Licia ha una sua verità. Bisogna riflettere se sia von der Leyen il candidato che mette d’accordo tutti". Il capogruppo alla Camera, Paolo Barelli prova a negare l’evidenza. "È la candidata del Ppe e sul suo nome non c’è nessuna divisione". Tant’è.
I motivi dell’ostilità nel Ppe sono diversi: pesano i giochi di potere interni, le critiche alla sua conduzione dell’Unione soprattutto nei rapporti con Washington ma probabilmente pure la sua apertura a destra. In fondo, Ronzulli e Mulè rappresentano l’area forzista meno favorevole a un eccessivo appiattimento sull’asse con FdI. Certo, ieri la presidente non ha incontrato neppure Giorgia Meloni, ma in questo caso non c’è davvero nulla di strano: da parte della premier sarebbe stato un endorsement troppo sfacciato con Salvini che non perde occasione per prendere di mira la premier. Per von der Leyen, invece, sarebbe stata un’ostentazione sfrontata dell’alleanza con la leader della destra.
Parlare di candidatura destinata al fallimento come sembra fare Ronzulli è però quanto meno esagerato; da un lato il Ppe si è effettivamente spostato sempre più a destra: la settimana scorsa la visita a Roma di Markus Soder leader della Csu bavarese è sembrata a molti il crollo dell’ultima resistenza. Un anno fa Soder era stato tassativo: mai un’alleanza con chi ha un background post fascista; tre giorni fa a Roma è stato prodigo di elogi nei confronti del governo e della sua premier. È vero che sia Macron che Scholz non amano affatto l’idea di una seconda presidenza von der Leyen e il loro peso all’interno del Consiglio che dovrà indicare la presidenza per poi farla ratificare dal Parlamento europeo è decisivo. Ma è anche vero i Popolari non sono disposti a cedere la presidenza, i tedeschi neppure. Con questi vincoli di alternative a von der Leyen ce ne sono poche.