Martedì 23 Aprile 2024

Primarie Pd, sei candidati per la segreteria. Le regole e chi appoggia chi

In corsa volti noti come Zingaretti, Martina, Giachetti e Boccia, ma anche due outsider come Corallo e Saladino

I sei candidati alla segreteria del Pd (Ansa / ImagoE)

I sei candidati alla segreteria del Pd (Ansa / ImagoE)

Roma, 15 dicembre 2018 - Giachetti, Martina, Boccia, Zingaretti, Corallo, Saladino. Alla fine, dopo tanto discutere, rimproverarsi e dannarsi, sono sei i candidati del Pd che affronteranno la corsa verso le prossime primarie per eleggere il nuovo segretario dem, primarie che si terranno il 3 marzo del 2019. L’ordine di presentazione sulla scheda elettorale dei sei candidati è stato sorteggiato dalla commissione di Garanzia, presieduta dall’onorevole Gianni Dal Moro e vidimata ieri. Non si tratta, ovviamente, di un ordine di importanza, e neppure di un ordine alfabetico, ma solo di un sorteggio.

Già solo nei nomi, però, sono contenute diverse ‘notizie’. Ma partiamo prima dai grandi, o piccoli, esclusi. Non c’è – come si sapeva ormai da giorni – il nome di Marco Minniti. L’ex ministro dell’Interno, che doveva essere ‘il campione’ del renzismo, si è tirato indietro in dirittura di arrivo perché ha ritenuto troppo ‘debole’ l’appoggio alla sua candidatura delle truppe renziane e, soprattutto, dello stesso Renzi. Non c’è neanche Matteo Richetti, renziano atipico, che si è fatto da parte per giocarsi la partita congressuale non più da solo, ma in ticket con Maurizio Martina. Non c’è, infine, l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, capofila di una piccola corrente, quella dei ‘Laburisti dem’, che si è ritirato preferendo appoggiare la corsa di Nicola Zingaretti, conscio soprattutto del fatto che la sua candidatura non decollava.

Ci sono, invece, del tutto imprevisti – e molto improvvisati – tre outsider. Due ‘giocano’ da soli e sono dei veri outsider perché trattasi di due ‘carneadi’: il giovane ricercatore, laureato in Filosofia, Dario Corallo, romano e figlio di uno storico giornalista politico dell’Ansa, e Maria Saladino, volto sconosciuto sia al grande pubblico che a quello dem, unica donna in corsa e nota solo per i suoi (tanti) selfie con tutti i dirigenti del Pd che le capitavano a tiro. Entrambi sono però riusciti nell’impresa di presentare un numero di firme che, per essere entrambi due sconosciuti, non era insignificante: 1.500, di iscritti al partito, che andavano raccolte in almeno 5 regioni tenendo come base le circoscrizioni elettorali che si usano alle Europee. Al Nazareno, nessuno credeva che ce l’avrebbero fatta.

Invece, in calcio d’angolo, e con l’escamotage di molte firme raccolte in fretta e furia in meno di una notte via email – e solo in un secondo momento vidimate dalla Commissione – è riuscito a presentarsi ai nastri di partenza anche il dem romano, ed ex militante radicale, Roberto Giachetti. Renzianissimo, Giachetti non ha condiviso la scelta di gran parte degli (ex) renziani di appoggiare la corsa di Martina e si presenta in ticket, cioè in coppia, con la deputata umbra Anna Ascani.

Infine, ecco i tre candidati sui quali non c’erano dubbi che avrebbero agevolmente superato l’ostacolo delle firme: il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, appoggiato dalla sinistra interna, ma anche da Gentiloni e da Franceschini; l’ex segretario uscente, Maurizio Martina, sostenuto da aree molto diverse tra loro (i Giovani turchi di Matteo Orfini, due ex renziani del calibro di Graziano Delrio e Richetti, gran parte del renzismo militante che ha abbandonato al suo destino l’ex leader, cioè 85 parlamentari renziani su 100); il battitore libero Francesco Boccia, un tempo lettiano, ora molto vicino al governatore della Puglia Michele Emiliano, .

Chi appoggia chi. Le truppe dei candidati

Partiamo dai più piccoli. Dei due ‘carneadi’ Corallo e Saladino è facile immaginare che prenderanno numeri e percentuali irrisorie e che già solo con il voto tra gli iscritti (vedi dopo) verranno esclusi dalla competizione. Infatti, non hanno, nessuno dei due, truppe a loro sostegno. Di Boccia, che era vicino a Enrico Letta, ma che da anni è diventato il braccio destro di Michele Emiliano, si dice che possa raccogliere voti, oltre che in Puglia, in qualche città, soprattutto del Sud, e in quella parte (piccola) del partito che vuole, a tutti i costi, un accordo di governo con l’M5s. Del ticket dei ‘sopravvissuti’ del renzismo che ormai ‘fu’, Giachetti e Ascani, si può dire che possono raccogliere solo in piccola parte l’eredità dell’ex segretario e leader, che la loro battaglia sarà molto difficile e assai minoritaria (solo tre parlamentari su 100, tra i renziani, stanno con loro) ma che potrebbero soffiare, per poco, la terza posizione a Boccia solo se riusciranno a sfondare durante la campagna.

Della candidatura di Martina si può dire che è molto salita e cresciuta, nel corso dei mesi, acquistando più consistenza: partiva dai suoi consensi, alti soprattutto in Lombardia, cui si sono aggiunti quelli di Delrio in Emilia e di Orfini nel Lazio, in Sicilia e in Piemonte, poi quelli di Richetti (pochi) e, infine, è arrivata a esprimersi per Martina il grosso delle truppe un tempo renziane. Luca Lotti e Lorenzo Guerini, un tempo proconsoli di Renzi, hanno spostato armi e bagagli di ben 85 parlamentari (su 100 complessivi tra gli ex renziani) su Martina, facendo prendere sempre più quota alla corsa. Lo sfidante da battere, però, resta sempre Zingaretti: fortissimo nel Lazio, discretamente forte nel Mezzogiorno, debole al Centro e al Nord, può contare su una campagna già rodata e lanciata da mesi (di fatto da prima dell’estate) e su truppe che vanno dalla sinistra del partito (Orlando) alla destra (Zanda) passando per l’appoggio di Area dem, la corrente di Dario Franceschini, e di Paolo Gentiloni. Non a caso, in tutti i sondaggi, è Zingaretti a stare sempre in testa.

Le regole di una gara che sarà breve ma difficile

Sempre la commissione Garanzia fa sapere che tornerà a riunirsi mercoledì 19 e che, in quella sede, “sarà integrata dai rappresentanti dei candidati a segretario nazionale”. Insomma, ogni candidato avrà il suo rappresentante e potrà controllare che le operazioni congressuali si svolgano in modo regolare e sereno, ma sono previste schermaglie. Infatti, il tesseramento – e dunque la possibilità di votare al ‘primo giro’, quello tra gli iscritti – è stato già fermato, dunque non sarà possibile fare tessere dell’ultima ora, ma una finestra è ancora rimasta aperta, quella dell’on line, tema su cui soprattutto Boccia ha molto insistito, forte di una candidatura che punta molto proprio su web e social. Inoltre, dati i noti casi di ‘inquinamento’ del voto che hanno funestato le primarie del Pd in passato (specie nelle regioni del Sud), bisognerà seguire con particolare attenzione le operazioni di voto, sia tra gli iscritti sia al ‘secondo giro’, alle primarie ‘aperte’.

Infatti, il congresso del Pd è un razzo a tre stadi. Il primo stadio sono le primarie tra gli iscritti: votano solo i tesserati al partito e, contestualmente, vengono eletti anche i segretari regionali che devono esplicitare il collegamento a uno dei sei candidati in corsa. Il voto ‘solo’ tra gli iscritti si terrà il 7 febbraio del 2019. Poco prima si sarà svolta una ‘Convenzione Nazionale’ in cui i candidati presentano se stessi e i loro programmi, una sorta di ‘passerella’ per i candidati e per farsi conoscere. Infine, il 3 marzo del 2019 ecco, finalmente, il gran giorno delle primarie aperte a tutti gli iscritti, elettori e semplici simpatizzanti del Pd e del centrosinistra che potranno votare versando un piccolo obolo (5 euro) e firmando una ‘Carta d’Intenti’ del Pd il cui vincolo è sempre stato dubbio.

Ma non è finita perché, per conoscere ufficialmente il nome del vincitore, bisognerà attendere la convocazione dell’Assemblea nazionale, massimo organo statutario del Pd e il solo che può proclamare effettivamente il segretario (si tratta, quindi, di un’elezione non ‘diretta’, ma ‘indiretta’) anche perché c’è una piccola gabola, o pecca, nello Statuto. Se nessuno dei contendenti (ma alla seconda fase passano solo i primi tre meglio piazzati nel voto tra gli iscritti) avrà ottenuto, nelle primarie aperte, il 50,1% dei voti, diventerà determinante il voto dentro l’Assemblea. Ed è lì dentro che potrebbe accadere di tutto. Infatti, con due candidati di quasi eguale peso (Zingaretti e Martina, si presume) i voti dei delegati del terzo meglio piazzato (Giachetti o Boccia) potrebbero riversarsi su uno dei due e farlo eleggere, anche se non si trattasse del candidato arrivato primo alle primarie. Infatti, in Assemblea (mille i componenti eletti), votano i delegati delle singole mozioni che vengono sì eletti contestualmente al voto dei candidati alle primarie aperte, ma che possono, legittimamente, cambiare idea e mozione e riversare i loro voti su un altro candidato all’atto del voto. Insomma, il solito, vero, ginepraio, le primarie del Pd…