Primarie Pd 2019, Renzi incassa il colpo. "Massima calma"

L'ex leader in attesa. Il partito non è più suo

Matteo Renzi (Ansa)

Matteo Renzi (Ansa)

Roma, 4 marzo 2019 - "Quella di Nicola Zingaretti è una vittoria bella e netta. Adesso basta col fuoco amico: gli avversari politici non sono in casa ma al Governo". Matteo Renzi riconosce subito in serata il nuovo leader del partito. E mette le mani avanti: il nemico non sono io. Come dire: niente resa dei conti. "Un grande festival della democrazia. Una bella giornata per chi crede nella politica", aveva scritto su Facebook dopo aver votato al suo seggio a Firenze, dove è arrivato in Vespa (nella foto). Chi pensa che l’ex leader del Pd si sia disinteressato del risultato arrivato ieri dai gazebo, sia in termini di partecipazione che di vincitore annunciato, si sbaglia di grosso. Renzi, non può che prendere atto della voglia del popolo del Pd di voler contare e partecipare. Come pure non può non prendere atto dei risultati.

Primarie Pd 2019, i risultati 

Certo, una vittoria striminzita di Zingaretti, mixata a una bassa partecipazione, avrebbe potuto fargli più comodo, ma così non è stato. Del resto, il pubblico che affolla le sue uscite per la presentazione del suo nuovo libro, Un’altra strada, e che lo ha portato in vetta alle classifiche della saggistica, è anche fatto di elettori del Pd. Infine, il risultato del suo candidato in pectore, Roberto Giachetti, non può essere considerato una ‘massa di manovra’ utile, subito, per lanciare quel nuovo partito cui si dice che Renzi lavori ormai da tempo. Lì, ma per allargare i consensi, specie nel campo dei moderati (delusi di FI, ex di Scelta civica), lavorano per Renzi Sandro Gozi (lato Macron) e Scalfarotto sul fronte interno.

Ma proprio Renzi ora dice ai suoi di rallentare. Con la tegola degli arresti domiciliari per i suoi genitori, il senatore di Rignano sull’Arno mostra il petto, certamente, in pubblico, prende di mira tutti i giorni Di Maio e Salvini (più il primo che il secondo, in verità), critica ogni legge del governo, ma sa bene che il partito non sarà più il suo, a partire dalla nuova Assemblea nazionale in giù; e che, nei gruppi parlamentari, specie al Senato, dove il capogruppo Andrea Marcucci è un suo fedelissimo, una manciata di senatori (dieci i fedelissimi) e di deputati (una quindicina) gli sono legati perinde ac cadaver. E sono i numeri che bastano, in aula, per impedire ogni velleità di governo tra Pd e 5Stelle. Se poi, alle prossime elezioni politiche, ci sarà un nuovo partito renziano, alleato al Pd, secondo il vecchio schema Ds-Margherita, nulla di male. "Anche Zingaretti – spiega un renziano doc – se lo augura".