
Il campo largo si ritrova in Ungheria "Qui si difende la libertà della Ue" .
C’è il Pride delle libertà e i diritti civili al passo con la modernità rivendicati dai cittadini ungheresi, che hanno sfilato in quasi 200mila per le strade di Budapest. C’è il Pride del conservatorismo clerico-reazionario del governo di Viktor Orban, che ha vietato la manifestazione anche a scapito della richiesta di autorizzazione da parte della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e insiste ad accreditarsi come campione del tradizionalismo, ma dall’inizio dell’anno ormai è stato scavalcato nei sondaggi e continua nel declino. E c’è il Pride della classe politica europeista, che cerca di tenere alta la bandiera dei principî liberal, ecologisti, pacifisti, solidaristici invero sempre più minacciati dai conflitti geopolitici e lo spostamento a destra dell’elettorato e la governance europei.
È soprattutto il Pride degli ungheresi che, per quanto possibile, ieri ha davvero vinto la propria corsa in vista della sfida alle elezioni politiche del 2026. Dopo aver riscosso molti vantaggi economici dall’Europa, i continui scontri tra Budapest e Bruxelles stanno cominciando ad andare a scapito della cittadinanza insieme alle restrizioni interne dei diritti. Difatti il sindaco eco-liberale di Budapest Gergely Karacsony, fiero oppositore del premier, ha aggirato il divieto autorizzando il Pride. E in vista della prossima contesa sono i popolari europei di Tisza ad aver guadagnato dieci punti di vantaggio (46 a 36%) contro il partito Fidesz di Orban; mentre tutte le altre forze di sinistra e liberal arrancano intorno al 5%.
Oltre un centinaio, tra 70 esponenti del Parlamento europeo e altri esponenti politici nazionali, hanno partecipato ieri alla sfilata di Budapest. Assente von der Leyen, che pure si è ampiamente resa protagonista della polemica sull’autorizzazione della manifestazione con uno scostante Orban, hanno partecipato la commissaria europea belga per la parità Hadja Lahbib, il ministro della Cultura spagnolo Ernest Urtasun, il ministro dell’Istruzione olandese Eppo Bruins, rappresentanti del governo francese, sindaci delle principali capitali europee, tra cui quello di Milano Beppe Sala, l’ex primo ministro belga Elio Di Rupo, l’ex primo ministro irlandese Leo Varadkar. E dall’Italia la segretaria Elly Schlein con una delegazione del Pd e quello di Azione Carlo Calenda. Una presenza che più politica non potrebbe essere, sia rispetto al Pride in sé che rispetto al Pride europeista.
"Vietare il Pride vuol dire censura, vuol dire discriminazione istituzionale", spiega Schlein, che sui diritti Lgbtq è impegnata da sempre ed è stata accolta a suon di cori e di Bella Ciao. "È importante essere qui a dire che l’amore non si vieta per legge e che, nell’Unione europea, quando attacchi i diritti di uno stai attaccando i diritti di tutte e di tutti", sostiene la segretaria dem. Secondo cui ne va esattamente del modello di Europa che si vuole realizzare. Concetto che il leader di Azione Carlo Calenda esprime in modo ancora più netto: "Vietare una manifestazione pacifica e anche la libera scelta delle persone di amare chi vogliono è inaccettabile – dice –. Per quanto mi concerne l’Ungheria deve scegliere tra l’Unione Europea e Orban". Rimproverando al premier ungherese di essere "un asset dei russi" e fare "leggi liberticide" contro cui tutti dovrebbero protestare, Calenda sostiene la necessità che popolari, liberali e socialisti rimangano uniti nella difesa dello Stato di diritto, "perché l’Europa nasce come il posto dove i diritti individuali vengono tutelati".