Venerdì 19 Aprile 2024

Presidenzialismo sì o no? Allarme populismi, il modello francese può essere l’antidoto

L’attuale parlamentarismo risente dei timori del dopoguerra. L’Italia era reduce da un ventennio tragico di dittatura, per questo l’Assemblea costituente optò per un governo debole

Una foto d’archivio dell’Assemblea Costituente. In primo piano Alcide De Gasperi

Una foto d’archivio dell’Assemblea Costituente. In primo piano Alcide De Gasperi

Continua il dibattito sollevato da QN sulle possibili riforme istituzionali, partendo dalla promessa fatta da Giorgia Meloni sul presidenzialismo, da attuare al più presto. Dopo le analisi di Paolo Cirino Pomicino, Sofia Ventura, Giorgio La Malfa e Stefano Ceccanti,oggi è la volta di Gaetano Quagliariello, presidente della Fondazione Magna Carta

Tra l’Italia e il semipresidenzialismo esiste un rapporto che, visto in prospettiva storica, può considerarsi sospeso tra passato e futuro.

Il passato rimanda al tempo dell’Assemblea Costituente. L’Italia era uscita malconcia da una guerra voluta da un regime autoritario protrattosi per vent’anni. Questa realtà – oltre allo spirito del tempo e alla presenza in Assemblea di forti correnti assembleariste –, impedì di sciogliere il nodo della forza e dello spazio di autonomia da attribuire al potere esecutivo.

Su questo punto specifico, rispetto al periodo liberale e allo Statuto Albertino, si fece addirittura un passo indietro. Allora c’era il Re dal quale formalmente l’esecutivo avrebbe dovuto dipendere. L’evoluzione materiale dello Statuto, già dai tempi di Cavour, modificò questo stato di cose imponendo la verifica del rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento.

Il potere esecutivo, perciò, si trovò a operare in uno spazio definito da una sorta d’arco di ponte che si reggeva su due pilastri: da un canto il Re dall’altro il Parlamento. Si ricavava il suo spazio di autonomia avvicinandosi, secondo le circostanze, ora più a uno ora più all’altro pilastro. Stando sempre ben attento a non addossarsi mai completamente a nessuno dei due perché, in questo caso, avrebbe decretato la sua caduta.

L’avvento della Repubblica eliminò uno dei due pilastri. Il Re è sostituito dal Presidente della Repubblica che, privo di una propria legittimità originaria, la trae dal Parlamento che lo elegge. Era facile prevedere che la circostanza avrebbe reso il Governo ancor meno autonomo e, infatti, i più acuti tra i Padri costituenti ebbero piena contezza del problema. In quelle temperie, però, esso non poteva trovare una soluzione. La si sarebbe dovuta rinviare ad altra data.

Una possibile via d’uscita al problema italiano fu indicata nel 1958 dall’avvento della V Repubblica, anche perché la Costituzione francese della IV Repubblica, come è noto, aveva più di una vaga similitudine con la nostra a partire dalla scarsa importanza che entrambe attribuivano al potere esecutivo.

Quando oltralpe la crisi algerina favorì il cambio della Costituzione, tra sistema parlamentare e sistema presidenziale si optò per una soluzione intermedia: il governo sarebbe dipeso, insieme, sia dal Presidente – una sorta di monarca repubblicano – che dal Parlamento. Molti scommisero allora che quel compromesso non avrebbe funzionato. È stato invece un successo e non solo in Francia, dato che quel sistema è stato poi adottato da tanti Paesi transitati alla democrazia.

Per la vulgata quella innovazione costituzionale ha rappresentato la traduzione istituzionale della grandeur gollista. Non è così, perché il ruolo che nella edificazione della V Repubblica hanno avuto gli uomini (sia politici che tecnici) della IV Repubblica fu determinante.

Oltre che un glorioso passato, il semipresidenzialismo può però avere anche un importante futuro. Questo, almeno, dovrebbe augurarsi chi – come chi scrive – vuole che gli istituti del parlamentarismo possano sopravvivere all’età dei populismi.

Stiamo infatti attraversando un’epoca nel quale la democrazia rappresentativa sta subendo l’attacco della democrazia immediata, veicolata dai sondaggi e soprattutto dai social media.

È una deriva che va assolutamente governata, se non si vuole che la rappresentanza e le sue istituzioni divengano presto un mero simulacro.

A tal fine, è necessario concedere alla democrazia diretta qualcosa che possa convivere con la democrazia parlamentare classica. Il sistema semi-presidenziale, come si è detto, prevede un rapporto tra il potere esecutivo e la sovranità popolare (che l’elezione diretta rafforza), ma questo rapporto non taglia fuori il Parlamento. Anche per questo, il semipresidenzialismo può rispondere a una esigenza epocale.

Ciò è soprattutto vero per l’Italia che, come si è detto, dai tempi dei nostri Padri Costituenti prova a sciogliere il nodo gordiano del potere esecutivo. Che poi sia proprio questo il momento per una riforma così importante tante volte tentata e tante volte fallita, è questione che inerisce le condizioni e le convenienze politiche. Riguarda, cioè, il presente più del rapporto sospeso tra passato e futuro.

(5 - continua)