Martedì 23 Aprile 2024

Portaborse dei parlamentari, stipendi da fame e poche tutele

Schiavi dei politici: la vita poco onorevole degli assistenti sfruttati La rabbia dei portaborse: "Obbligati a intrattenere l'amante del capo"

Flashmob organizzato dall'Associazione collaboratori parlamentari a Roma (Ansa)

Flashmob organizzato dall'Associazione collaboratori parlamentari a Roma (Ansa)

Roma, 6 ottobre 2017 - C'è chi assume il parente, dal fratello al marito, e chi la baby sitter che così viene pagata con i soldi destinati al collaboratore parlamentare e può badare al pargolo mentre l’onorevole è impegnato. Ci sono ragazzi con laurea, dottorato e master che lavorano 12 ore al giorno per poco più di 600 euro nette al mese. Con viaggi e pasti a carico loro perché spesso per un lavoro in Parlamento si è disposti a sobbarcarsi anche le spese e a fare i pendolari. Basta un giro in Parlamento, tra il Transatlantico e Palazzo Madama, per sentirne diverse di testimonianze del genere. Perché, nonostante i tentativi di mettere delle regole, tanti assistenti parlamentari, spesso molto qualificati, sono ancora pagati in modo non adeguato, con contratti precarissimi, senza nessun riconoscimento delle loro capacità. E così esposti anche ad abusi.

La rabbia dei portaborse: "Obbligati a intrattenere l'amante del capo"

In alcuni casi, citati sottovoce, vengono inquadrati addirittura come colf per pagare meno contributi. È ormai prassi, poi, che tanti entrino in Parlamento ogni giorno con il pass di ‘ospite’ e figurino come ‘volontari’ ma è una copertura: lavorano nell’ufficio del parlamentare tutto il giorno. Succede a molti giovani del Sud che, senza lavoro, sono disposti a fare i pendolari e a non avere orari per stipendi, spiega un assistente che lavora al Senato, «che spesso si aggirano intorno alle 3-400 euro al mese, o nei casi migliori rasentano le 6-700. Pochissimi soldi per un lavoro delicato e difficile come elaborare schede sulle finanziaria o approfondimenti sulle delibere del Consiglio dei ministri».

Una realtà che tocca anche gli uffici più in vista, come gli uffici stampa dove i contratti giornalistici pare continuino ad essere pochi. Situazione peggiorata, se fosse possibile, dal fatto che siamo a fine legislatura. «In queste ultime settimane – racconta un’assistente parlamentare della Camera – siccome mancano pochi mesi al voto molti onorevoli si sono disfatti dei collaboratori». Cioè? «Eh, li hanno mandati a casa dicendo che non ne avevano più bisogno, ma è chiaro: è per tenersi i soldi». Pare che questo stia avvenendo a livello trasversale, in più gruppi parlamentari.

I soldi per retribuzioni più eque ci sarebbero. I deputati hanno a disposizione circa 3.600 euro al mese per pagare i collaboratori parlamentari e per coprire anche altre spese (come ad esempio quella di avere una sede sul territorio o di disporre di banche dati). La disponibilità dei senatori è di circa 4 mila euro. Ma, e qui sta in realtà il guaio, solo la metà di queste cifre deve essere rendicontata dal parlamentare: quindi, di fatto, il budget per i collaboratori si riduce a 1.800 euro, perché l’altra metà «l’onorevole o il senatore la usa come meglio crede».

«Siamo utti professionisti, spesso con titoli oltre la laurea – spiega Valentina Tonti dell’Associazione italiana collaboratori parlamentari – e stiamo facendo una battaglia anche per contrastare la visione dell’assistente parlamentare come semplice portaborse». Le norme introdotte contro lo sfruttamento selvaggio degli assistenti parlamentari secondo gli addetti ai lavori sono «sempre aggirabili». La exit strategy appare solo una: togliere di mano al parlamentare la gestione diretta dei soldi in modo che non ci sia la tentazione di «risparmiare sul collaboratore pagandolo di meno o non facendogli un contratto adeguato».