Elezioni politiche, cosa nasconde la battaglia sulla premiership

I leader vogliono essere definiti "candidati premier" per "trainare" i propri partiti. Ognuno pensa infatti soprattutto per sé, le coalizioni sono solo cartelli elettorali

Giorgia Meloni ed Enrico Letta

Giorgia Meloni ed Enrico Letta

Enrico Letta da una parte, Giorgia Meloni dall’altra. La voglia è la stessa: marcare con una connotazione personale la campagna elettorale che sta per iniziare. Il segretario del Pd dipinge la sfida attraverso un perentorio "o con noi o con la Meloni, non ci sarà un pareggio", la presidente di Fratelli d’Italia insiste sulla questione della leadership, chiedendo ai partner di definirla "prima di iniziare altrimenti andiamo da soli".

Per ambedue l’obiettivo è il medesimo: polarizzare sulle loro due figure, e quindi sui loro due partiti, lo scontro. In modo che gli indecisi da una parte e dall’altra, optando per Letta o Meloni, finiscano per portare voti a Pd o Fd’I nel voto di lista. La fantomatica "candidatura a premier", che la costituzione non prevede, la legge elettorale non contempla e la cronaca recente nega (dal 2011 in poi non c’è mai stato un presidente del consiglio tra quelli indicati dai partiti prima del voto) è in realtà un modo per "lanciare" il partito del "prescelto".

E ricorda un po’ la vecchia trovata di quel genio della comunicazione politica che fu Marco Pannella, quando nel 1999 lanciò la canditura di Emma Bonino al Quirinale; la Bonino ovviamente non fu eletta, ma alle successive elezioni il Partito Radicale sbancò. Lo stesso effetto è ricercato adesso da Letta e Maloni, se non per il fatto che il giochino, abbastanza elementare, è stato scoperto dagli altri membri delle rispettive coalizioni. Ragion per cui Forza Italia nega un giorno si e l’altro pure che la questione della premiership sia importante (Berlusconi ha detto che la vicenda «non lo appassiona»), la Lega dedica al punto il minor tempo possibile, e anche a sinistra tutti si voltino più o meno dall’altra parte. Calenda addirittura mangia la foglia e spiega che è lui il candidato premier. Un altro.

La verità è che candidati premier non ce ne sono perché ormai le coalizioni sono sfarinate, e la stessa legge elettorale vigente, di fatto proporzionale, è causa ed effetto di questa parcellizzazione. Un’idea, un progetto comune non c’è, e se anche la legge elettorale incentiva il particulare, allora la questione è risolta. Il tentativo di polarizzare il voto da parte di Pd e Fd’I, per far scattare il famoso meccanismo del voto utile, è appunto un tentativo, che staremo a vedere se funzionerà o meno. Certo, riuscire ad azionarlo potrebbe portare ai due major partner delle rispettive alleanze più di un beneficio in termini di consenso alla lista, ma dovranno vincere la resistenza dei rispettivi compagni di cordata. E calcolarne bene costi e benefici.