Politica malata, democrazia debole. Ma i partiti rifiutano la cura Draghi

Incapaci di dar vita a un governo in una situazione di grave crisi, sono stati commissariati da Mattarella. Ora pretendono di riacquistare un ruolo senza interrogarsi sul fallimento, ma non rappresentano la società

Matteo Salvini (49 anni), leader della Lega, spesso in dissenso con la linea di Draghi

Matteo Salvini (49 anni), leader della Lega, spesso in dissenso con la linea di Draghi

Roma, 17 luglio 2022 - Partiti malati, che non assolvono più alle loro funzioni, alla fine, scassati loro, arrivano a scassare tutto intorno a loro. È quello che potrebbe accadere ora in Italia.

I partiti dell’ampia maggioranza oggi messa in discussione avevano accettato di sostenere un esecutivo ‘istituzionale’ a fronte della loro incapacità di dar vita a un governo in una grave situazione di crisi. Solo che, questi partiti, non hanno accettato la sospensione della normale logica parlamentare come una parentesi che in qualche misura limitasse la loro possibilità di incidere sul governo – data la loro inadeguatezza –, in attesa di un ripristino dei meccanismi fisiologici. Auspicabilmente rimessi in moto da un loro rinnovamento. No. Questi partiti hanno preteso di continuare a operare essenzialmente in connessione con un governo che di fatto era nato come il loro commissariamento.

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I finti paladini della democrazia parlamentare, ovvero quanti ne esaltano le virtù solo in funzione delle loro tesi, si dichiarerebbero scandalizzati per questa osservazione. Ma una soluzione come quella di un ‘governo del presidente’ è chiaramente l’esito di un inceppamento del meccanismo parlamentare fisiologico. Prendendone atto, si cercano arrangiamenti ‘nonostante’ i partiti. I quali non possono avere lo stesso peso che avrebbero se fossero loro i protagonisti del processo di creazione della maggioranza.

Ma quel peso, hanno invece preteso. Senza interrogarsi sui motivi del loro fallimento. Ciò a causa di quello che sono diventati. Ovvero organizzazioni che traggono linfa essenzialmente dalle istituzioni, lontane da una società che non interpretano più e che, soprattutto attraverso i loro leader, esistono essenzialmente perché ‘comunicano’. Devono inviare messaggi continui ai loro elettori, agitandosi sulla scena politico-governativa.

Così la Lega e il M5s hanno giocato a un continuo tiro e molla. Anche quando alla pandemia si è aggiunta la guerra, cercando un profilo diverso da quello del governo, incuranti del fatto di prestarsi al gioco degli invasori di un Paese amico. Il Pd ha creduto di potersi alimentare unicamente con la fedeltà al governo, peraltro perseverando nella strategia di alleanza proprio con il partito di Conte, ovvero il partito che, con modalità tragicomiche, ha avviato la crisi, mettendo in forse la prosecuzione dell’esecutivo. Quell’esecutivo che, grazie a Mario Draghi, ha ridato centralità all’Italia a livello internazionale.

In attesa che Draghi mercoledì vada alle Camere, contorcimenti, tattiche erratiche, ambiguità, equilibrismi si susseguono. M5s e Lega più di tutti tirano la corda, indifferenti alle poste in gioco; Forza Italia è ambigua (come il suo leader); il Pd cerca soluzioni senza il coraggio di parole chiare (anche se perlomeno non si riduce a divenire l’‘utile idiota’ degli invasori, a differenza di altri).

Se ancora avessimo avuto bisogno di conferme, dunque, questi tempi estremi ci mostrano quanto la malattia dei partiti si sia ormai trasformata in una malattia della nostra democrazia. Con il baratro ormai prossimo.