Roma, 9 novembre 2023 – “Capisco Edi Rama e non capisco il governo di Roma, ma sulla questione della presunta crisi della sinistra in Europa, ecco, io non la vedo proprio così…”.
Gianni Pittella ex vicepresidente del Parlamento Europeo e oggi osservatore delle dinamiche interne alla Ue, è sorpreso dei malumori nel Pd sul premier albanese, reo di aver siglato un accordo con Meloni?
"I partiti nazionali sono sempre stati autonomi e il Pse è sempre stato un cappello europeo ben poco incisivo sulle questioni nazionali interne, ma devo dire che, invece, sono molto deluso dall’accordo che ha siglato Meloni”.
Perché? Altri Paesi Ue guardano all’iniziativa con interesse.
"Perché è un accordo estremamente sconveniente per noi ed estremamente conveniente per Rama. Io lo capisco, Rama. E non è che lui abbia rinnegato, con questa firma, le sue idee politiche. Ha tutto l’interesse ad ingraziarsi i Paesi conservatori che avranno un ruolo nel voto sull’ingresso dell’Albania in Europa. Al suo posto avrei fatto la stessa cosa. Non comprendo ciò che ci guadagniamo noi; non solo c’è una mortificazione oggettiva dei valori di solidarietà ed accoglienza, che sono valori fondanti del nostro Paese, ma c’è anche un costo economico. E per risolvere cosa? La vera sfida che si dovrebbe intestare questo governo è la modifica degli accordi di Dublino”.
E guardando al dibattito nel Pd di espellere Rama dal Pse?
"Anche lì, ma di cosa parliamo? I socialisti albanesi adesso sono solo degli osservatori esterni, perché l’Albania non è nella Ue, e quindi non si può chiedere l’espulsione di chi nel Pse non può ancora militare. No?”.
Non le desta riprovazione che un socialista firmi un accordo con una leader conservatrice?
"Per carità, il premier albanese ha un oggettivo vantaggio politico a giocare questa partita e il suo operato non può essere considerato un segnale di ‘decadimento’ dell’idea socialista europea. Insomma, io non vedo il Pse in crisi, tutt’altro. In Spagna sono convinto che Sanchez riuscirà a formare il governo. E in Portogallo Costa, conocendolo, sono convinto che riuscirà a chiarire la sua posizione. Sugli altri Paesi vedo ben poca differenza rispetto all’ultima tornata elettorale. In Francia i socialisti sono sempre stati deboli, in Romania reggono, in Germania governano. Forse perderemo qualche seggio, ma il ‘ribaltone’ non lo vedo proprio. Men che meno vedo ‘segnali’ dalle mosse di Rama”.
Dunque nessun cambio di passo, o quantomeno un cambio di orientamento in Europa?
"Per nulla. Anzi, le dirò di più; i socialisti, i liberali e i verdi dovrebbero sancire un patto politico-elettorale, nel nome dell’integrazione politica e dicendo che non faranno accordi separati con i popolari. Questo costringerebbe i popolari a fare a loro volta un accordo e quindi la Meloni e i suoi amici sovranisti resterebbero con il cerino in mano. Peraltro, già oggi il fronte sovranità non è poi così coeso e il rischio che ha Meloni in questo momento è di rimanere fuori dalla maggioranza in Europa e quindi dalla stanza dei bottoni”.
Al momento, sul fronte europeo, sia popolari che socialisti stanno tenendo le carte coperte, non si conoscono ancora né i candidati.
"Vero. Ma quello di cui ha bisogno l’Europa è di una maggioranza forte che cambi le regole in modo condiviso, a partire dal meccanismo della necessaria unanimità per prendere le decisioni. Così com’è ora l’Europa è bloccata, mentre ci vuole una svolta politica forte che governi le due transizioni che abbiamo davanti, quella digitale e quella ambientale energetica. Per governare questi fenomeni servono risorse importanti, ecco perché sarebbe necessaria anche una capacità fiscale europea in grado di emettere titoli di debito europei. Ma per fare tutto questo ci vuole una visione e anche il coraggio di fare un’intesa forte, per avere una maggioranza forte. E i socialisti, a mio parere, hanno ancora in mano le carte migliori per riuscirci”.