Giovedì 18 Aprile 2024

Pd in conclave, i dem si parlano addosso

Summit del Pd in Abbazia. Interventi su governo e riforme. Ma i problemi del Paese restano fuori

Dario Franceschini e Nicola Zingaretti (ImagoE)

Dario Franceschini e Nicola Zingaretti (ImagoE)

Roma, 14 gennaio 2020 - Bandita la discussione sul nome e il futuro del partito ("A pochi giorni dal voto in Emilia non è il caso di parlarne e il segretario stesso ci ha chiesto di non sollevare il tema", spiega, rassegnato, uno dei presenti) non resta che il gelo. "Siamo in un posto meraviglioso, l’abbazia di San Pastore, solo che qui fa un freddo pazzesco e siamo tutti congelati". Parola di Valeria Fedeli, senatrice dem dal lungo passato nella Cgil, alla fine due giorni di ritiro del Pd nel ‘conclave’ francescano voluto da Zingaretti.

Gli astanti, e il segretario, non parlano di partito, ma solo pochi giorni fa, ha detto di essere pronto a scioglierlo per farne una ‘Cosa’ nuova per nome ("I democratici" resta il più gettonato) e contenitore. L’apertura – ricambiata – alle Sardine è cosa fatta, per il resto siamo alle solite: ambientalismo, movimenti, la mitica società civile. Insomma, si vedrà, nel prosieguo (congresso entro l’estate? Zingaretti si ricandida?) perché la ‘gelata’ vera rischia di arrivare il 26 gennaio, quando si terranno le elezioni in Emilia-Romagna e in Calabria. Nella seconda la partita sembra già persa, nella prima si combatte comune su comune e, non solo per Bonaccini, è la partita della vita.

Le sensazioni danno un testa a testa con la Borgonzoni (cioè, di fatto, con Salvini). L’altro corno del dilemma è il governo: come starci e per fare cosa. Rilanciarne l’azione va bene, ma su quali temi? Ecco, nel conclave, il toro viene preso per le corna. I temi sul tavolo erano tanti (forse troppi) e non riguardavano l’intero scibile umano: legge elettorale (da portare avanti), prescrizione (da cambiare), decreti sicurezza (il Pd li vuole abolire e punto), le alleanze, etc.

Al ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, il compito di rivendicare il profilo ‘governista’ del Pd: "Vorrei che si togliesse ogni dubbio sul fatto che in agosto abbiamo fatto la cosa giusta. Oggi, senza quella scelta, avremmo Salvini a Palazzo Chigi". Franceschini esorta, assai comprensivo per le difficoltà del M5S, di evitare di "piantare bandierine sui provvedimenti: in un governo di coalizione ogni risultato è di tutti". E aggiunge che il "governo giallorosso va avanti solo se il Pd lo sente come proprio, anche come incubatore di un’alleanza politica" con il M5s. Gli fa eco il premier Conte (dalla Turchia): "Auspico un processo politico più definito". Zingaretti torna sul tema dell’unità: "Il Pd non è un partito diviso o lacerato dalle polemiche, è una forza pluralista, ma unita, dopo che per anni siamo stati lacerati da lotte interne (stoccata a Renzi, ndr.)". Nessuno – giura Zingaretti – "vuole né annettere né includere nessuno" (leggasi, le Sardine), ma il ministro Provenzano vuole "incontrare i pesci migliori", cioè sempre loro. Chiude il ministro Guerini, capofila di Base riformista, gli ex renziani, che rifiuta "la caricatura del modello Corbyn" proposta da Renzi per il nuovo corso Pd, ma dice anche ‘no’ al ritorno a casa degli scissionisti di Mdp-Leu.