Il campo largo e i dilemmi di Letta

La sfida dei dem è che per tenere tutti insieme non venga snaturato il proprio profilo riformista. Servono proposte forti, in grado di attrarre elettori, non quadri di partito

Enrico Letta, segretario del Partito democratico (Ansa)

Enrico Letta, segretario del Partito democratico (Ansa)

Roma, 23 giugno 2022 - Domenica prossima ci sono i ballottaggi, ed è quindi comprensibile che le reazioni del Pd alla scissione nei 5S siano state improntate alla prudenza. Ogni voto può contare, ed è meglio non rischiare di urtare qualche sensibilità. Ma la circospezione non spiega tutto. Sotto sotto c’è anche imbarazzo, un po’ di sorpresa (se non altro per la portata della scissione: più di sessanta parlamentari con Di Maio non se li aspettava nessuno) e anche, come dire, un senso di umanissimo "e mo’ che facciamo?". Se infatti dovesse cambiare la legge elettorale (non a caso i dem sono tornati a parlarne) le cose per il Nazareno andrebbero a posto, ma dovesse restare l’attuale Rosatellum (due terzi eletti con il proporzionale e un terzo con i collegi maggioritari, cioè vince chi arriva primo nel singolo collegio) la divisione Di Maio/Conte non resterebbe indolore. Si, certo, c’è l’opzione di riunirli tutti e due lo stesso sotto al medesimo tetto, ma si sa che le scissioni si portano spesso dietro uno strascico di rancori difficili da ricomporsi.

La calma di Letta è quindi solo apparente, e i pensieri non mancano. Il dilemma che ha di fronte il segretario dem è quanto cercare di allargare il famoso 'Campo largo', e quale prezzo si può arrivare a pagare per questo allargamento. Se vuoi allargare molto devi snaturare il tuo profilo, perché devi in qualche modo essere «compatibile» con il maggior numero di soggetti. Se vuoi imbarcare a sinistra non devi mostrarti troppo di destra, se vuoi imbarcare al centro non devi agitare troppo vessilli di sinistra. Finendo per risultare tu stesso poco attrattivo per i tuoi stessi elettori, o ex elettori. Che in sonno o no, comunque ci sono.

Non scordiamoci che Veltroni nelle elezioni del 2008 prese 12 milioni di voti, ridotti a poco più di sei nel 2018 (segretario Renzi). Il Pd ha infatti un suo bacino, l’importante è trovare delle chiavi che motivino chi ti ha abbandonato per altri partiti o (soprattutto) per l’astensione a tornare ad avere fiducia in te. E questo al di là di Di Maio, Conte, Renzi, Sala o Calenda. In sostanza: idee. In sostanza: politica. Al Pd servono idee forti, innovative, rivoluzionarie, in grado di attrarre elettori e non (solo) quadri di altri partiti. Voti e non personale politico.