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Roma, 23 giugno 2022 - Domenica prossima ci sono i ballottaggi, ed è quindi comprensibile che le reazioni del Pd alla scissione nei 5S siano state improntate alla prudenza. Ogni voto può contare, ed è meglio non rischiare di urtare qualche sensibilità. Ma la circospezione non spiega tutto. Sotto sotto c’è anche imbarazzo, un po’ di sorpresa (se non altro per la portata della scissione: più di sessanta parlamentari con Di Maio non se li aspettava nessuno) e anche, come dire, un senso di umanissimo "e mo’ che facciamo?". Se infatti dovesse cambiare la legge elettorale (non a caso i dem sono tornati a parlarne) le cose per il Nazareno andrebbero a posto, ma dovesse restare l’attuale Rosatellum (due terzi eletti con il proporzionale e un terzo con i collegi maggioritari, cioè vince chi arriva primo nel singolo collegio) la divisione Di Maio/Conte non resterebbe indolore. Si, certo, c’è l’opzione di riunirli tutti e due lo stesso sotto al medesimo tetto, ma si sa che le scissioni si portano spesso dietro uno strascico di rancori difficili da ricomporsi. La calma di Letta è quindi solo apparente, e i pensieri non mancano. Il dilemma che ha di fronte il segretario dem è quanto cercare di allargare il famoso 'Campo largo', e quale prezzo si può arrivare a pagare per questo allargamento. Se vuoi allargare molto devi snaturare il tuo profilo, perché devi in qualche modo essere «compatibile» con il maggior numero di soggetti. Se vuoi imbarcare a sinistra non devi mostrarti troppo di destra, se vuoi imbarcare al centro non devi agitare troppo vessilli di sinistra. Finendo per risultare tu stesso poco attrattivo per i tuoi stessi elettori, o ex elettori. Che in sonno o no, comunque ci sono. Non scordiamoci che Veltroni nelle elezioni del 2008 prese 12 milioni di ...
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