Pd e il flop alle elezioni 2018, i big mollano Renzi. Gelo con il Colle

Il Quirinale non ha apprezzato i diktat sulle trattative. La minoranza apre il fuoco: "Le dimissioni si danno oppure non si danno..." Elezioni 2018, chi governa? Due maggioranze possibili

Matteo Renzi lascia la conferenza dopo il flop alle elezioni 2018 (Lapresse)

Matteo Renzi lascia la conferenza dopo il flop alle elezioni 2018 (Lapresse)

Roma, 6 marzo 2018 - Orlando e Emiliano, i leader delle due minoranze all’ultimo congresso (19% il primo, 9% il secondo). Cuperlo e Latorre, nomi di spicco. Il capogruppo al Senato Zanda. Non che non se lo aspettassero, i renziani, il fuoco di batteria degli anti-renziani «in servizio permanente effettivo, palesi e occulti», ma il plotone di esecuzione stavolta è bello grosso. D’altronde, sospira un pasdaran, «nel Pd il calcio dell’asino ha una tradizione».

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Del resto, la scelta di Renzi di presentare delle dimissioni al rallenty, come provano a raccontarle i suoi, e non «dimissioni finte», come le bollano i suoi avversari, ha proprio l’obiettivo – spiega uno di loro – di «stoppare ogni tentazione, che già serpeggia: accodarsi a un governo con i 5Stelle, con la scusa che ‘il Colle lo vuole’, per garantire un governo al Paese, intascando in cambio una serie di prebende istituzionali». A partire dalla presidenza della Camera dove – dicono perfidi i renziani – «Franceschini sogna di sedersi dal 2013. Allora – ricordano – glielo impedì Bersani e lui subito lo tradì, passando con noi. Ma Dario è un traditore seriale e lo rifarà». 

Franceschini, peraltro, ieri al Nazareno era «non pervenuto». Come il ministro Minniti e come anche il ministro Delrio, ormai in fredda con Renzi. Assenze notate. Ma i renziani, avviluppati nella sindrome del bunker, puntano il dito anche contro l’attuale inquilino di palazzo Chigi, Paolo Gentiloni: «Come Mattarella è ormai contro di noi, dietro l’attacco di Zanda, c’è lui». E allora vediamolo, questo fuoco di fila.

«Di fronte alla sconfitta più grave della storia della sinistra italiana del dopoguerra – dice il ministro Andrea Orlando – mi sarei aspettato una piena assunzione di responsabilità dal segretario che ha gestito in modo solitario la linea, organigrammi e candidature. Invece siamo alla soluzioni ambigua: le dimissioni non dimissioni». Sarà perché Renzi ha sterminato gli orlandiani, nella composizione delle liste? Michele Emiliano, governatore della Puglia: «Dalle sconfitte, specie se pesanti, bisognerebbe imparare, invece Renzi punta solo all’autoconservazione e finge di dimettersi». Ma Emiliano è sempre stato un contestatore del renzismo e il primo a chiedere l’intesa coi 5Stelle. Gianni Cuperlo, che ha persino rinunciato a candidarsi con un gesto nobile, ieri era al Nazareno ad ascoltare Renzi: «Il Pd deve cambiare molto, non solo il segretario, prima che sia troppo tardi». Magari Cuperlo è troppo risentito? Di certo lo è Nicola Latorre, lasciato fuori dalle candidature sicure: «Le parole del senatore Renzi (notare la perfidia, ndr)? Incomprensibili».

Chiude il fuoco di fila, appunto, un nome pesante, il capogruppo uscente al Senato, Luigi Zanda: «La decisione di Renzi di dimettersi e, insieme, di rinviare la data delle dimissioni serve solo a prender tempo. Le dimissioni o si danno o non si danno». Il ministro Anna Finocchiaro usa parole identiche. Guerini si sgola: «Quelle di Renzi sono dimissioni vere», ma il cerchio inizia a stringersi. Nel Pd, dopo il «partito di Gentiloni», sta per nascere, il «partito di Mattarella». Nomi che pesano e che hanno Renzi nel mirino.

BOSCHI-BIANCOFIORE
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