Roma, 15 luglio 2022 - C’è un aspetto segreto della crisi che sfugge a uno sguardo superficiale ma che invece è stato, se non decisivo, almeno importante. L’assurda ma continua tensione tra tecnici e politici nel governo Draghi che non poteva che segnare l'esperienza di questa sorta di esperimento unico: governi tecnici c’erano infatti già stati. Non era mai successo però che un governo fosse double face: parte politico e parte tecnico. Le frizioni erano inevitabili. È noto, per esempio, il pessimo rapporto del consigliere del premier, Francesco Giavazzi, insigne economista di rito bocconiano, con Conte. Rapporti tanto deteriorati da spingere Matteo Renzi ad addossargli giovedì in aula buona parte della responsabilità della crisi. In realtà la tensione è andata molto oltre come testimonia l’ultimo scontro, nel momento più delicato: quello dell’annuncio di Draghi in consiglio dei ministri delle sue dimissioni. Quando il titolare del dicastero del Lavoro, Andrea Orlando, cerca di convincere il premier a ripensarci e il collega Roberto Cingolani, responsabile della Transizione ecologica, lancia il guanto di sfida al ministro democratico: "Parli tu che sei del Pd e hai fatto il gioco di Conte". Così, il malumore diffuso che intride il governo sin dal suo insediamento esplode nelle ore buie della crisi provocata da M5s, ma non è certo l’unico attrito che si consuma all’ombra di Draghi, al netto naturalmente dei continui affondi dei leghisti contro la ministra dell’interno, Luciana Lamorgese. Basta fare un salto indietro di qualche mese: a marzo, quando il premier si accorge che la trattativa con Intel, il gigante dei microprocessori che vuole investire in Italia sta per saltare, chiede al titolare della Transizione digitale, Vittorio Colao, di occuparsi della faccenda affiancando il collega dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti un po’ in affanno su un negoziato strategico e assai competitivo. Il ministro leghista, ...
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