Venerdì 19 Aprile 2024

Orlando-Cingolani e le altre liti: politici contro tecnici nel governo Draghi

Il ministro per la Transizione ecologica al titolare del Lavoro: "Hai fatto il gioco di Conte". Ma è solo l'ultimo di tanti screzi nell'esecutivo

I ministri Andea Orlando (sinistra) e Roberto Cingolani (Imagoeconomica)

I ministri Andea Orlando (sinistra) e Roberto Cingolani (Imagoeconomica)

Roma, 15 luglio 2022 - C’è un aspetto segreto della crisi che sfugge a uno sguardo superficiale ma che invece è stato, se non decisivo, almeno importante. L’assurda ma continua tensione tra tecnici e politici nel governo Draghi che non poteva che segnare l'esperienza di questa sorta di esperimento unico: governi tecnici c’erano infatti già stati. Non era mai successo però che un governo fosse double face: parte politico e parte tecnico. Le frizioni erano inevitabili. È noto, per esempio, il pessimo rapporto del consigliere del premier, Francesco Giavazzi, insigne economista di rito bocconiano, con Conte. Rapporti tanto deteriorati da spingere Matteo Renzi ad addossargli giovedì in aula buona parte della responsabilità della crisi. In realtà la tensione è andata molto oltre come testimonia l’ultimo scontro, nel momento più delicato: quello dell’annuncio di Draghi in consiglio dei ministri delle sue dimissioni. Quando il titolare del dicastero del Lavoro, Andrea Orlando, cerca di convincere il premier a ripensarci e il collega Roberto Cingolani, responsabile della Transizione ecologica,  lancia il guanto di sfida al ministro democratico: "Parli tu che sei del Pd e hai fatto il gioco di Conte".

Così, il malumore diffuso che intride il governo sin dal suo insediamento  esplode nelle ore buie della crisi provocata da M5s, ma non è certo l’unico attrito che si consuma all’ombra di Draghi, al netto naturalmente dei continui affondi dei leghisti contro la ministra dell’interno, Luciana Lamorgese.  Basta fare un salto indietro di qualche mese: a marzo, quando il premier si accorge che la trattativa con Intel, il gigante dei microprocessori che vuole investire in Italia sta per saltare, chiede al titolare della Transizione digitale, Vittorio Colao, di occuparsi della faccenda affiancando il collega dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti un po’ in affanno su un negoziato strategico e assai competitivo. Il ministro leghista, legato peraltro a Draghi da un rapporto di stima reciproca, non la prende bene e sale sull’Aventino, facendo trapelare la sua insoddisfazione.

Qualche settimana prima, è toccato a Dario Franceschini sfidasi a duello con lo stesso Cingolani. Materia del contendere, in quel caso, l’installazione di nuovi impianti per le rinnovabili. Non è il primo scontro, ma è quello che forse fa più frastuono fuori dalle mura di Palazzo Chigi. Il responsabile della Cultura fa muro, e alla fine Cingolani riesce a ottenere solo un decimo di ciò che aveva chiesto. Alzi poi la mano chi ha dimenticato il lunghissimo braccio di ferro di Lega e Forza Italia sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm firmata dalla guardasigilli Cartabia. O l’affondo del capo delegazione dei Cinque Stelle, Stefano Patuanelli contro il Tesoro guidato da Daniele Franco, accusato di voler smontare il Superbonus edilizio. Insomma: malumori su malumori si sono accumulati in questi mesi, con i politici sempre più insofferenti nei confronti di supermanager e professori diventati il pilastro di tutti gli organismi decisionali dentro Palazzo Chigi. Né poteva finire diversamente, con Supermario sulla tolda di comando e Daniele Franco come ufficiale in seconda. Più alcuni ministri, come Brunetta e Giorgetti, che pur politici si presentano però quasi come tecnici. "O le Camere seguono il governo quando approva dei provvedimenti, o le Camere si trovano un altro governo",  ha detto il presidente del consiglio all’inizio dell’anno.

Poco spazio ha avuto il Parlamento, ancor meno i partiti: Draghi non ha concesso nemmeno un vertice ai vari leader della sua maggioranza. Se l’è cavata con i summit con i capidelegazione al governo dove meglio di niente, si dirà. Ma poi sono stati i tecnici  a portare avanti iniziative e progetti senza curarsi di chi in Cdm rappresentava i partiti. Non stupisce dunque se, alla resa dei conti, il fuoco che covava da tempo sotto la cenere sia divampato. A tracciare un primo, provvisorio bilancio, ora che il governo - a meno di miracoli - sembra arrivato al capolinea è un parlamentare di lungo corso: "Forse sarebbe stato  meglio un governo squisitamente tecnico come quello di Monti: avrebbe fatto meno danni strutturali".