Mercoledì 24 Aprile 2024

Quirinale, per il dopo Mattarella scatta il Fantacolle. Con lo spettro del voto anticipato

Le Camere non vogliono andare a casa, per troppi il premier è sinonimo di interruzione della legislatura

Sergio Mattarella e Mario Draghi (Ansa)

Sergio Mattarella e Mario Draghi (Ansa)

Roma, 26 ottobre 2021 - La partita del Colle? Al momento, è complicata quanto scalare l’Annapurna in Nepal. La soluzione a portata di mano – Mario Draghi – è meno semplice di quanto sembri a prima vista. Ammesso e non concesso che il premier abbia voglia di lasciare Palazzo Chigi, per andare al Quirinale deve essere eletto alla prima votazione da uno schieramento molto ampio. Il leader di un governo di unità nazionale non può permettersi di essere candidato da un pezzetto della maggioranza: deve essere indicato da tutta l’ampia coalizione che lo sostiene. La sua candidatura, però, viene letta da molti peones come un annuncio di elezioni anticipate.

Ha voglia chi lo conosce a garantire in giro che non verranno sciolte le Camere, a guidare il governo andrà il ministro Franco o chi per lui. La paura di perdere un anno di stipendio e lo scatto delle pensione (previsto per novembre 2022) rischia di spingere molti a impallinare il suo nome nel segreto dell’urna. E negli ultimi giorni, si è allargato il fronte di quelli che dicono che deve restare a Palazzo Chigi. L’ex presidente Bce è un personaggio di caratura internazionale, ha un’immagine da difendere: impossibile gettarlo nella mischia senza un accordo blindato che lo metta al riparo da brutti scherzi. Non che la strada al Colle per lui sia chiusa, ci mancherebbe – c’è chi consiglia di metterlo in campo alla quarta votazione, quando è richiesta la maggioranza assolutata – ma è complicata. Più agevole sulla carta l’idea di un bis di Mattarella: tranne la Meloni nessuno si è dichiarato contro, e anche l’anonimo parlamentare che non vuole perdere mesi di stipendio ci leggerebbe il fatto che la legislatura andrà a scadenza naturale. Bisogna però fare i conti con la ritrosia dell’attuale capo dello Stato e con un copione già visto con Napolitano.

Fuori i primi, entrano in gioco i partiti. E si penetra in una vera e propria giungla. Sì, perché il capo dello Stato deve essere espressione della larga maggioranza che sostiene il governo: ma cosa succede quando questa maggioranza è in guerra permanente? Non si può scegliere una fazione: l’esecutivo cadrebbe il giorno dopo. Dunque, identikit troppo marcati sono esclusi; ad un giro d’orizzonte, due sembrerebbero i nomi che parlano a tutti: Paolo Gentiloni e Pier Ferdinando Casini. Il primo potrebbe passare con lo schema “Ursula“, ovvero eletto dal centrosinistra, M5s e FI: è un interlocutore riconosciuto dai berlusconiani essendo stato un ministro delle comunicazioni apprezzato anche da Mediaset. Al netto di una scelta che comporta la frattura a destra, sulla sua strada c’è un ostacolo enorme. Dovrebbe lasciare il posto di commissario europeo per gli affari economici e, per una regola ferrea di Bruxelles, il nostro paese non potrebbe riavere quella casella per noi importantissima. Dunque: Casini. Democristiano di razza, piace a molti ma rischia di pagare non tanto la sponsorizzazione di Matteo Renzi, quanto il fatto di essere stato eletto con il centrosinistra.

Poi ci sono i grandi vecchi, gli uomini della seconda Repubblica usciti di scena ma fino a un certo punto: Silvio Berlusconi per la verità la scena l’ha rioccupata proprio facendo circolare la voce, ancora non ufficializzata di una sua candidatura al Colle. Ha pochissime chances anche se nel caleidoscopio della politica italiana non si può mai dire. Mira però a imporsi come determinante nella scelta, e questoo invece è un obiettivo a portata di mano. Prodi dopo la nota esperienza dei 101 giura di essere fuori gioco, ma molti sostengono che invece un pensierino e anche qualcosina in più lo stia facendo: in fondo non si sa mai. Se questo è il mazzo dei nomi che più circolano, il limite è evidente: manca come al solito la Regina. Le donne, onnipresenti nei discorsi che però scompaiono quando si passa alla loro traduzione in pratica. Ma con un labirinto simile, se la situazione non si sblocca subito è inevitabile che l’opzione femminile emerga: in campo ce ne sono due. La ministra della giustizia, Marta Cartabia, in pole position fino a pochi mesi fa, ma oggi forse azzoppata dalle ire funeste dei cinquestelle per la modifica della riforma Bonafede. Poi la presidente del Senato, Elisabetta Casellati che a quell’obiettivo pensa da quando è diventata seconda cittadina della Stato ma che ha il limite di essere troppo targata centrodestra. Altri profili non ce ne sono: ma chi può escludere che all’ultimo momento non salti fuori come già successo più volte un’ "impensabile" sorpresa? Per esempio Emma Bonino.